MITI e LEGGENDE – MITO UCRAINO… La Freccia di Fuoco

La Freccia di Fuoco   -  Mito Ucraino

Narra la leggenda che Boyatyr, un uomo forte, saggio e coraggioso, possedesse una freccia magica la quale,  tra gli altri poteri,  aveva quello di mandare l’acqua in ebollizione.  Il saggio sapeva che se la freccia fosse finita in mani sbagliate, avrebbe potuto provocare morte e distruzione.
Quando sentì prossimo per lui il momento di morire, decise di gettare la freccia di fuoco  in fondo al Mar Nero ed affidò l’impresa ai suoi figli. Questi, però disubbidirono e nascosero la freccia in montagna.
Quando il saggio ne venne a conoscenza, li costrinse a recuperla ed a  gettarla in mare come aveva comandato loro. Questa volta i figli gli ubbidirono.
Appena, però, la freccia toccò la superficie dell’acqua, questa si tinse di nero e cominciò a ribollire.
La leggenda vuole che , il fenomeno delle acque  in ebollizione, presente  in alcuni punti del Mar Nero,  sia dovuto al fatto che queste cerchino proprio di liberarsi della Freccia di Fuoco.

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EGITTO – ALCHIMIA… che cosa hanno in comune?

EGITTO - ALCHIMIA... che cosa hanno in comune?

EGITTO: é  la traduzione italiana del teemine greco Ae-gi-Pthos, che a sua volta traduce l’antico termine egizio: Hut-Ka-Ptha.

Il significato letterale è:

DIMORA (Hut) dello SPIRITO (Ka) di PTHA.

E’ la III Dinastia e PTHA è IL Dio Dinastico di MEMFI.

In precedenza il territorio era indicato con altro nome: “Il Paese delle Due Terre”.
Le Due Terre erano: – KEM  o  “Terra Nera”  e
– DESHRET  o “Terra Rossa”.
L’unificazione delle Due Terre avvenne dopo varie ed alterne vicende, militari e diplomatiche, e un “Concilio”, in cui si decise di dare quel nome a tutto il territorio, in onore di PTHA, IL DIO CREATORE.

Curiosità: la parola ALCHIMIA deriva proprio da KEM (terra nera), che i tanti sognatori cercavano di manipolare chimicamente per trasformare in oro il materiale vile.

Fin dai  tempi pre-dinastici (Dinastia “O” – Re Scorpione) gli Antichi Egizi erano famosi per la loro abilità  nella lavorazione dei metalli e per la capacità di trasformarli.
Per separare l’oro e l’argento dal minerale originario  utilizzavano “l’argento vivo” (mercurio).
Il residuo che veniva fuori  da questa operazione  era la “polvere nera”, chiamata “khem”,   una sostanza scura  che si  riteneva  avesse poteri magici e  contenesse le proprietà dei vari metalli, considerata anche “principio attivo” nel processo di lavorazione.
Gli Antichi Egizi, inoltre, in  tale sostanza riconoscevano il “Corpo di Gloria” di Osiride, il Dio Morto e Risorto e le attribuivano potere magico, fonte di vita e di energia.
Man mano che i metodi di estrazione e lavorazione del metallo andavano perfezionando,  cresceva anche l’interesse per la ricerca e lo studio relativo ai “poteri magici” di leghe e fusioni.  Ne nacque una Scienza,  che contemplava l’arte della lavorazione, ma anche le conoscenze chimiche dei metalli  e che fu chiamata “Khemeia”,  preparazione del “metallo nero”.
Gli Arabi vi aggiunsero l’articolo  “El”  e  Khemeia diventò “El-Khemeia”  da cui Alchimia.

“Khem”,  ossia “Terra Nera”,  a causa del colore del fango,  era  uno dei nomi con cui era chiamato in origine l’Egitto.

 

ANTICA GRECIA – DEE e REGINE… PENELOPE

PENELOPE: fu davvero così casta?

PENELOPE: fu davvero così casta?

La figura di Penelope, casta e fedele, che aspetta trepidante il ritorno dello sposo vagabondo per il mondo con la scusa della guerra, che imbroglia i pretendenti con una tela interminabile, piace molto agli uomini.
Li rassicura.
Piace molto questa figura di donna in eterna attesa: è rassicurante. Viene presa come esempio anche in culture assai, ma proprio assai, posteriori.
Perfino oggi.
Ma era davvero così casta e fedele, la cara Penelope?
L’epoca in cui visse era quella di un Matriarcato in declino e un nascente Patriarcato. Lo testimoniano le vicende legate alle sue nozze con Odisseo, meglio conosciuto come Ulisse.
Questi conquistò la sua mano all’antica maniera matriarcale, vincendo, cioè, una gara di corsa.
(secondo altre versioni, di tiro con l’arco)
Penelope era figlia di Icario, re di Sparta, e della ninfa Peribea e, secondo le antiche usanze, era la sposa che accoglieva lo sposo nella sua casa e non il contrario. (Menelao era diventato Re di Sparta per averne sposato la principessa ereditaria, Elena).
Ulisse, invece, infranse le regole e si portò via la sposa contro la volontà del padre di lei.
Re Icario, infatti, li fece subito inseguire e Ulisse costrinse  Penelope a scegliere fra lui e suo padre.
Penelope scelse Odisseo: senza una parola si calò il velo nuziale sul volto e lo seguì ad Itaca, lasciando la casa paterna e la terra di Sparta.
La figura di Penelope, in realtà, non è solamente emblematica, ma anche un po’ enigmatica, per quello che fu in seguito il suo comportamento.
Omero (ma sarà stato proprio Omero a scrivere l’Odissea? Ormai sono in molti a nutrire dei dubbi) ci parla di lei in tono brillante, bucolico ed un po’ ingenuo. Ben diverso dal tono ruvido e tagliente che si riscontra nell’Iliade, la cui paternità di Omero è indiscutibilmente accettata.
Omero ci lascia con Penelope ed Ulisse riuniti dopo venti anni di separazione: dieci di guerra a Troia e dieci di peripezie attraverso il Mediterraneo.
Penelope, però, si rivela donna prudente e diffidente, oltre che paziente e fedele: prima di concedersi al marito, vuole certezze e per questo lo sottopone alla prova del talamo nuziale e della sua posizione nella loro casa. Dopo, lo premierà generandogli un altro figlio: Polipartide; il primo era Telemaco, poco più che ventenne al ritorno a casa del padre.
Penelope è anche una donna forte e di infinite risorse. Lo ha dimostrato tenendo a freno i suoi pretendenti con vari espedienti prima del ritorno di Ulisse e lo dimostrerà pure dopo la morte di questi.
Sia Ulisse che suo figlio Telemaco, infatti, subito dopo la strage dei Proci (i pretendenti) erano stati esiliati.
Ulisse partì per la Tesprozia, per espiare la sua colpa; qui, però, sposò la regina Callidice che gli diede un altro figlio, Polirete.
Telemaco, invece, raggiunse Cefallenia, poiché, secondo un oracolo, Ulisse sarebbe morto per mano di suo figlio.
Così fu!
L’eroe fu ucciso proprio da uno dei suoi figli, ma non era Telemaco, bensì Telegono, il figlio avuto dalla maga Circe durante il viaggio di ritorno da Troia.
Telegono, che dal padre aveva ereditato lo spirito d’avventura, andava scorrazzando per i mari e finì per raggiungere Itaca.
Ulisse si preparò a respingere l’attacco, ma Telegono lo uccise.
Proprio come aveva predetto l’oracolo: in riva al mare e con l’aculeo di una razza, un aculeo di razza infilato sulla punta della lancia di Telegono.
E ancora una volta Penelope ci sorprende: trascorso l’anno di lutto previsto dalla tradizione, la Regina di Itaca sposa Telegono… proprio così! Sposa l’uccisore di suo marito, figlio della rivale, la maga Circe.
E non è tutto. Raggiunta l’isola di Circe, madre del fratellastro Telegono, Telemaco, a sua volta, impalma la rivale di sua madre.
Edificante!

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ANTICO EGITTO – REGINE

CLEOPATRA- La Regina greca

CLEOPATRA- La Regina greca

Di questo personaggio, appartenente alla Dinastia dei Tolomei, di origine greca, si è ormai detto tutto e forse non sempre a proposito.
Accenneremo soltanto alla sua celebre storia d’amore con Marco Antonio e al tentativo di seduzione nei confronti di Ottaviano Augusto, nonché al suo matrimonio con Giulio Cesare ed al suo arrivo, cinematograficamente trionfale, a Roma, in realtà osteggiato da tutti, essendo, i fatti, assai noti.
La sua morte: aspide o vipera? Di qualunque veleno si trattò, certo è , che pose fine alla sua vita.
Parleremo della sua fanciullezza e giovinezza.
Altre Regine con il suo nome l’hanno preceduta: lei era Cleopatra VI, nata ad Alessandria d’Egitto nel 69 a.C., da Tolomeo XII.
Fu l’ultima Regina di quella Dinastia. Regnò dal 51 al 30 a.C., anno in cui morì.
Non era particolarmente bella, ma astuta, ambiziosa e molto colta.. In grado di  esprimersi in molte lingue,  comprese, naturalmente, quella egizia e quella greca.  Oltre che di un fascino assai particolare,  possedeva  una spiccata personalità.
Aveva 18 anni quando morì il padre, lasciando il Regno al fratello, Tolomeo XIII, di soli 10 anni ed a lei il ruolo di Consorte Reale.
Roma, di cui l’Egitto era una Provincia, aveva nominato Pompeo come tutore del ragazzo e il potente eunuco Potino l’aveva posto sotto la sua protezione, in  aperta ostilità nei suoi confronti,
Cleopatra si vide, dunque, costretta a fuggire in Siria, dove riuscì ad organizzare un proprio esercito e forte di questo, approfittò della guerra civile scoppiata a Roma tra Pompeo e Giulio Cesare.I due  avevano portato la guerra fino  in Egitto, dove  Potino, per compiacere Cesare, fece uccidere Pompeo. Fu proprio quello l’episodio che spinse Cleopatra a osare ciò che nessuno avrebbe osato mai: avvolta in un tappeto, (una storia che ormai tutti conoscono bene) portato a spalla dal fedelissimo schiavo Apollodoro,   si presentò al cospetto di Cesare,  che aveva convocato lei e il fratello Tolomeo XIII  per  risolvere i loro problemi dinastici.
Cesare ne restò davvero impressionato.
Fra i due nacque immediatamente la passione e per compiacere la “Sua Regina”, Cesare fece  uccidere Tolomeo, lasciando a lei il potere assoluto.
La richiamò a Roma, ma… basta vedere il celeberrimo film con la Taylor e Burton, (con accenti hollywoodiani) per conoscere il seguito della storia: dalla loro relazione nacque un figlio maschio, cui fu messo il nome di Tolomeo XV Cesarione,  unico maschio di Cesare,  che il grande condottiero, però,  non volle mai riconoscere come suo.
Il disegno di questa ambiziosa Regina era quello di permettere al figlio,  alla morte di Cesare, di  occupare  il trono di un impero grande come quello di Alessandro Magno,  ma  a  Roma  l’accoglienza fu assolutamente inospitale.Morto Cesare, Cleopatra cadde fra le braccia di Marco Antonio, che non esitò a proclamare Tolomeo XV Cesarione  quale erede di Giulio Cesare davanti al Senato. Ottaviano, però, si oppone, affermando di essere lui il legittimo successore.
In questo clima burrascoso, Cleopatra decise di tornare in Egitto.
Tra Marco Antonio ed Ottaviano, però, la rivalità divenne insostenibile.
Marco Antonio, però, sapeva che per sconfiggere il nemico doveva disporre dei tesori dell’Egitto. Decise, dunque, di convocare Cleopatra a Tarso, sulla costa turca.
Cleopatra si presentò su un’imbarcazione dalle vele color porpora, la poppa d’oro e i remi d’argento, vestita come Venere e circondata da amorini.
I due si innamorarono e dalla relazione nacquero due gemelli, ma Marco Antonio dovette lasciarla per partire in guerra.  Tornò dopo 3 anni, per avere le ricchezze d’Egitto; Cleopatra, accettò, ma a sua volta, chiese ed ottenne in cambio le miniere di rame di Cipro, il Sinai ed i campi di grano di tutto il nord Africa.
A questo punto la guerra tra Ottaviano e Marco Antonio si riaccese e si fece più aspra che mai.
Sconfitto ad Anzio, Marco Antonio si rifugiò a palazzo con Cleopatra e si uccise con la sua spada, morendo tra le braccia di lei
La Regina non si arrese. Tentò di sedurre anche Ottaviano. Questi, però, la respinse.
Ormai padrone di Alessandria, temendo che anche Cleopatra potesse tentare il suicidio, come aveva già fato Marco Antonio, Ottaviano fece in modo che ogni oggetto portato alla Regina fosse accuratamente controllato.  Ma un contadino, riuscì a sfuggire al controllo e le fece pervenire un cesto di fichi con dentro nascosto un aspide.
Cleopatra si lasciò mordere e morì prima dell’arrivo di Ottaviano, evitando così l’umiliazione della sconfitta. Il figlio Cesarione fu fatto  uccidere  e degli altri due figli gemelli sparì ogni traccia.

 

ANTICO EGITTO – LA RELIGIONE

Ma… DAVVERO GLI ANTICHI EGIZI ADORAVANO GLI ANIMALI?

Ma... DAVVERO  GLI  ANTICHI  EGIZI  ADORAVANO  GLI  ANIMALI?

Una domanda che mi sento spesso rivolgere è: gli Egizi adoravano gli animali? Esisteva, cioè, un culto degli animali?
Di certo c’è che gli animali facevano parte della dieta alimentare di questo popolo ed erano utilizzati per i lavori più pesanti.

Davvero dobbiamo credere che quei geniali costruttori e perfetti conoscitori del corpo fisico si genuflettessero davanti ad una mucca o ad un gatto?
E’ pur vero, però, che gli Dei dell’Antico Egitto sono spesso raffigurati con testa animale: toro, gatta  (non gatto),  leonessa, leone, ibis, ecc..
Come tutte le Religioni, anche quella egizia… soprattutto quella egizia, si serve di simboli per rendersi più com prensibile.
Gli Dei egizi possiedono un corpo composto di materie preziose: d’oro è la carne, di lapislazzulo i capelli, di corniola il sangue, ecc.., ma non si rendono visibili agli occhi umani.
Sono gli uomini che attribuiscono loro una forma. Per quanto sconcertante possa apparire ai nostri occhi, le Divinità egizie hanno spesso  l’aspetto di un essere ibrido, (metà uomo e metà animale) ma si tratta sempre di simboli per esprimere una funzione o una specifica qualità della Divinità e non corrisponde al suo aspetto reale.
Qualche esempio: il grembo  di una vacca simboleggia il cielo e NUT, Dea del Cielo, viene raffigurata con orecchie bovine. Quale simbolo si può scegliere per raffigurare l’irruenza e la fertilità delle acque del Nilo se non un toro? Ed ecco Hapy, dalla testa di toro.
E come esprimere la potenza e l’ardenza del Sole, se non attraverso la forza e la determinazione di una leonessa? Sekhmet, sposa di Ptha, è raffigurata con testa di leonessa. (nota: al Museo Egizio di Torino ci sono più di venti splendide statue che raffigurano questa Dea)
Le forze di crescita della Vegetazione, invece, sono associate ai serpenti, (Mertseger, Buto, Apofi, ecc) mentre quelle del Cielo, a falchi ed avvoltoi (Horo, Nekhbet, ecc..)
E Anubi? Quale simbolo più appropriato scegliere per questa Divinità inquietante e misteriosa, se non uno sciacallo del deserto?

In realtà, questi animali “divinizzati” non hanno nulla in comune con i loro simili viventi, se non la forma: sono il simbolo di funzioni e qualità divine. Niente di più.

Qualcosa di nuovo, però, avviene in tarda età, causa la decadenza politica del Paese e la dominazione straniera e la conseguente contaminazione filosofica e culturale. Il significato simbolico dell’immagine divina va sempre più perdendosi a favore di un vero culto degli animali, favorito dal dominatore straniero: greco o romano.
Solo in questo periodo storico, infatti, gli animali, simboli di Divinità, divengono a loro volta Divinità. Sacri ed intoccabili. Pena la morte per chi li offende.

Ma non  tutti gli animali sono sacri ed intoccabili. Lo sono solamente quelli che “ospitano” nel loro corpo il KA – Spirito della Divinità e questa, la Divinità,  richiede precisi requisiti all’animale in cui si incarnerà (per il tempo che gli aggradirà di farlo).

Un esempio. Il Sacro Toro HAPY era riconoscibile per diversi particolarii attributi: doveva esibire sulla fronte una macchia bianca a forma di stella; avere sul dorso una “voglia” assai particolare e cioé a forma di ali del Sacro Avvoltoio; le corna dovevano arcuarsi in una forma speciale, ecc… Che dire, poi, del Divino Coccodrillo SOBEK, per le  cui scaglie sul dorso erano richieste una forma ed una misura particolari?

L’Animale Sacro, solitamente, viveva in un Tempio e gli venivano tributati sacrifici, feste, processioni, ecc… chiaro che trovare un esemplare con quelle caratteristiche non era facile ed allora i Sacerdoti provvedevano con qualche trucco, dopo aver trovato l’esemplare più adatto alla bisogna.

Superstizione? Certo!

Per un popolo conquistatore è stato sempre più facile governare la superstizione che la religione o, addirittura, la ragione.

Del resto… non accade qualcosa di simile ancor oggi?

ANTICO EGITTO – LA RELIGIONE


INNO ad OSIRIDE il GRANO-DIVINIZZATO

INNO  ad OSIRIDE il  GRANO-DIVINIZZATO

OSIRIDE e il GRANO DIVINIZZATO

Che io viva o muoia, io sono Osiride.
Io entro dentro e riappaio attraverso te,
mi decompongo in te, creo in te,
cado in te, cado sul fianco.
Gli Dei vivono in me perché io vivo e cresco nel Grano
che sostiene gli Onorati.
Io ricopro la terra.
Che io viva o io muoia, io sono Frumento,
non vengo mai distrutto.
Io sono entrato nell’Ordine,
confindo nell’Ordine,
divengo Padrone dell’Ordine,
emergo dall’Ordine,
rendo distinta la mia forma.
Sono il Signore di Chennet,
sono entrato nell’Ordine
ho raggiunto i suoi limiti…

 

nota: epoca “Testi dei Sarcofagi” – l’identità del defunto è associata all’anima di  Osiride, che è il Grano in tutte le sue trasformazioni: viene sparso per terra, entra nel sottosuolo, si decompone e germoglia per rivivere attraverso la vegetazione che ricopre la terra, secondo  l’Ordine naturale e precostituito delle cose: la MAA’T.  L’anima, dunque,  si identificava con lo spirito della natura universale, anche se tendeva a perdere la propria individualità.
Contrariamente, all’epoca dei “Testi delle Piramidi”, l’anima del defunto si identificava con l’Anima del Dio destinata a rinascere come  stella.

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ANTICO EGITTO – LA RELIGIONE

L’ Occhio Divino

L' Occhio Divino

Occhio di Ra, Occhio di Horo, Occhio di Osiride: sono simboli ricorrenti nel pensiero teologico del popolo egizio: complesso e incomprensibile per noi gente moderna.
Il culto dell’Occhio Divino, in realtà, è presente anche in altre culture ed è sempre simbolo della “Grande Dea dell’Universo.”
Non si può dimenticare che l’inizio della civiltà egizia coincide con la fine del Matriarcato e che molti dei miti e dei simboli del Matriarcato confluiranno nel nuovo pensiero teologico.
Lo stesso avverrà per le altre culture, d’altronde.
Ma vediamo un po’ più da vicino questi simboli.

– L’Occhio di Ra (occhio destro), raffigurante la forza del Dio Supremo
Nella Dottrina Eliopolitana di On (la Eliopolis dei Greci) il Neter-Wa, Dio-Unico o Supremo, si chiamò per prima Atum, poi Atum-Ra e infine semplicemente Ra.
Viveva immobile nel Nun (Acque Primordiali), fornito di un “Occhio” (Irep), assieme ai figli: Shu e Tefnut.
Un occhio, però, che, raffigurato, non era mai umano, ma di un falco.
Il mito racconta che un giorno Shu e Tefnut si allontanarono da lui e si persero nel Nun. Ra, allora, mandò il suo “Occhio Divino” a recuperarli.
Al ritorno, però, l’Occhio trovò una sgradita sorpresa: al suo posto c’era un altro Occhio. S’infuriò così tanto a quella vista, che per placarlo, Ra dovette trasformarlo in un cobra e attorcigliarselo intorno al capo.
Quando più tardi Ra si ritirò per lasciare il Mondo Creato nelle mani degli Dei prima e degli uomini dopo, questo atto fu considerato la prima forma di incoronazione di un Faraone: l’urex, il cobra divino, eretto sulla fronte.
Dalle copiose lacrime versate dall’Occhio in quel frangente, nacque il genere umano: questa parte del mito comprova la natura femminile dell’Occhio Divino.
L’uomo, dunque, nella Teologia di Eliopoli, nasce dalle lacrime di rabbia dell’Occhio Divino di Ra, il Dio Supremo.
Il primo Occhio divenne il Sole e il secondo, la Luna.  Vediamo come e quando.
– L’Occhio di Horo (occhio sinistro)
Se il primo mito è legato ad Eliopoli, quello riguardante Horo è parte, invece, della Dottrina Osiriaca di Abidos, centro in cui si praticava il culto di Osiride.
Horo, figlio di Osiride, lotta con Seth, fratello di Osiride ed usurpatore del suo trono (Seth regnava sul Delta e Osiride nella Valle).
In uno dei numerosi scontri, Seth riuscì a strappare un Occhio (l’Udjat) al nipote ed a gettarlo via; dal canto suo, il giovane Horo non fu da meno e gli strappò gli organi genitali.
A questo punto intervenne Thot, Dio della Sapienza, Signore della Magia e Guardiano della Luna.
Thot si pose immediatamente alla ricerca dell’Occhio e lo ritrovò nella Tenebra Eterna.
Lo ritrovò, però, ridotto in pezzi e lo ricompose, ottenendo una frazione di 63/64, così rappresentati: 1/2 – 1/4 – 1/8 – ecc.
Ogni frazione divenne una fase della Luna: calante e crescente.

Questo racconta il mito, nella pratica, invece, troviamo l’Udjat (Occhio di Horo) sotto forma di amuleto contro gli infortuni, utilizzato da coloro che praticavano attività pericolose. Lo ritroviamo anche nelle tombe, a protezione da insidie e pericoli cui era sottoposto il Ka (spirito) del defunto, nel viaggio attraverso la Duat (oltretomba).

(curiosità: se visitate il Museo Egizio di Torino, vi capiterà di veder dipinto un “Occhio” su qualche sarcofago: era una “finestra sull’universo” attraverso cui il defunto poteva dare una sbirciatina al mondo esterno… ah! Questi egizi!)

– l’Occhio di Osiride
Il mito narra che l’Udjat, essendo ormai mobile sul volto di Horo, sia stato da questi “prestato” al padre, Osiride, per risanarlo da una congiuntivite, malanno assai comune in Egitto… da cui, evidentemente, nemmeno gli Dei erano immuni.

ANTICO EGITTO – LA RELIGIONE

Il Diluvio Universale

Il Diluvio Universale

Eventi catastrofici sono sempre stati associati alla volontà divina (accade ancora oggi, in certi ambienti e certe culture) soprattutto se inspiegabili (come il fulmine) o devastanti (come terremoti o alluvioni)
Racconti di Diluvi Universali (come lo scioglimento delle acque dopo una Glaciazione) sono presenti in ogni cultura e ad ogni latitudine del pianeta e nessuno studioso o scienziato li mette più in dubbio.Anche la Teologia egizia ha il suo Diluvio, ma lo racconta in maniera diversa e particolare.
Il motivo, forse, c’è: lo straripamento di un fiume non poteva essere devastante come l’innalzamento delle acque del mare ed eventuali tzunami!

Cosa raccontano i Testi Sacri egizi?
Ecco qua un bel racconto con finale a piacere:
Per punire il genere umano, reo di colpe molto gravi, si decise di dargli una bella lezione.
A compiere la “missione” fu mandata la ferale Sekhmet, Sposa di Ptha, (Dio Creatore, corrispondente… un po’… al nostro Padre Eterno)  nelle sembianze di Leonessa Sacra.
Cosa fu, cosa non fu, ma… la Dea si lasciò trasportare dalla propria natura ferina e compì una vera strage, tanto da minacciare di estinzione il genere umano.
Preoccupato, Ptha (o Ra, secondo altre versioni) pensò bene di inondare tutto il territorio di birra rossa.( gli antichi egizi ne facevano largo uso!)
La Dea, scambiandola per sangue, si prese una bella sbronza e… si dimenticò di portare a termine la “missione”… l’uomo, dunque, è salvo solo grazie ad una sbornia divina!!!

Altra versione:
La Dea, che doveva risparmiare gli uomini giusti, se la prese anche con Adapa (il Noè della situazione) e lo ferì mortalmente.
Quando si rese conto della gravità del fatto, si fermò e cominciò a versare un bel po’ di lacrime di pentimento.
Furono proprio quelle lacrime a sanare le ferite di Adapa e restituirgli la vita.
Fu così che Sekhmet, Dea della Distruzione,  divenne anche Dea della Rinascita… Ambivalenza, come in quasi tutti gli aspetti della filosofia egizia.

 

ANTICO EGITTO – LA RELIGIONE

ANTICO EGITTO – Magia e Religione

 ANTICO EGITTO - Magia  e Religione

Conosciamo tutti la grande religiosità che caratterizzava l’esistenza dell’antico popolo egizio. Sappiamo che Religione e Magia guidavano
ogni atto o pensiero del quotidiano. Ciò che forse non si conosce a fondo è il carattere di tale religiosità: utilitaristico e non (come nelle moderne Religioni) esclusivamente trascendentale. In parole più esplicite, per gli Antichi Egizi, la Religione rappresentava uno strumento con cui rendere più facile, o almeno più semplice, l’esistenza umana.
Un esempio chiarificatore: il fedele, oggi, prega il suo Dio nella speranza che gli venga concessa la grazia richiesta, l’antico egizio, invece, disponeva di “strumenti” con cui costringeva la Divinità a concedere quanto richiesto.
Rew ed he-kau ossia Incantesimi e Formule Magiche: questi, gli strumenti. Erano, però, “strumenti” da usare con le dovute precauzioni, se si voleva raggiungere lo scopo ed attirare l’attenzione divina, altrimenti, irritare o solamente distrarre la Divinità dalle sue occupazioni, poteva essere pericoloso o addirittura letale.
Comunicare con la Divinità non era facile. Bisognava farlo con la giusta intonazione di voce: quel tono di voce capace di indurre la Divinità a lasciare ogni altra occupazione e ad intervenire… ( la voce del muezzin dall’alto di un minareto o il Salmo recitato da un rabbino oppure la preghiera intonata da un prete cristiano durante la celebrazione della Messa, non sono, forse, retaggio di un così antico rituale per invocare Dio?)
Chery-vebb, ossia “Puro di voce”, così si chiamava il sacerdote che conosceva la giusta intonazione di voce, necessaria per recitare le he-kau, Formule Magiche; sem, era invece il nome del sacerdote-esorcista, dotato di urre-kau, strumenti magici; il primo riconoscibile per la lunga stola di lino appoggiata sulla spalla destra e l’altro per la pelle di leopardo in spalla.

Queste e molte altre curiosità, aneddoti, notizie, ecc… scoprirete nella lettura degli ultimi libri di Maria PACE:

DJOSER e lo Scettro di Anubi”

DJOSER e i Libri di Thot

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ANTICO EGITTO – POLITEISTI O MONOTEISTI?

ANTICO EGITTO – Politeisti o Monoteisti?

ANTICO EGITTO  -  Politeisti  o  Monoteisti?

Non è facile districarsi nell’affollato Olimpo delle Divinità egizie. E ciò, soprattutto a causa della proliferazione di un certo tipo di cinema e letteratura. Proveremo a semplificare l’argomento ed a renderlo meno ostico, partendo dal presupposto che la Religione dell’Antico Egitto non fu affatto immobile e statica (come spesso si tende ad equivocare), ma dinamica ed in continua evoluzione. Per meglio rendere l’idea, faremo un confronto con le moderne Religioni.

Le attuali grandi Religioni monoteiste hanno tutte e tre una medesima radice: risalgono al patriarca Abramo, fondatore dell’Ebraismo.
Già da subito, però, (leggendo la Bibbia), scopriamo l’apertura al suo interno di varie correnti: ai tempi della dominazione romana ve n’erano molte. Ne cito alcune: Esseni, Farisei, Sadducei, Zeloti e molte altre.

La prima grande svolta, però, circa duemila anni or sono, la impresse Cristo, fondatore del Cristianesimo: Dio, però, era sempre lo stesso, anche se si preferì chiamarlo Padre Eterno, piuttosto che Yeowa.

Neppure il Cristianesimo fu un pensiero statico: già nel secondo secolo si contavano varie dottrine e più tardi, come sappiamo, i cambiamenti che si verificarono furono radicali: citerò solo il fenomeno del Protestantesimo, ma ancora oggi, sette e tendenze, continuano a spuntare come funghi dopo la pioggia., soprattutto in presenza di eventi straordinari. (vedi l’approssimarsi dei “millenni”).

Una seconda grande svolta, tra il VII e l’VIII secolo d.C. la dette Maometto; non era un “figlio di Dio” come Cristo, ma solo un Profeta… Dio, però, era, sia pur con il nuovo nome di Allah, ancora il medesimo e anche l’Islamismo fu percorso da correnti varie.

La stessa cosa accadde in seno alla cultura filosofica religiosa dell’Antico Egitto e ciò, qualche millennio prima della nascita dell’Ebraismo.

A questo punto viene spontanea una domanda: gli Antichi Egizi erano monoteisti o politeisti?
Per buona pace di coloro che hanno sempre creduto in un politeismo egizio… ebbene, no!
Gli Antichi Egizi, alle origini, erano monoteisti ed adoravano il Neter-wa, ossia il Dio-Uno, che identificavano nel Sole o, più precisamente, credevano che il Sole fosse la “manifestazione” della Divinità., come “manifestazioni divine” fossero molti fenomeni della natura. Soltanto in seguito, durante il lungo percorso della loro civiltà e il contatto con altre culture, quelle “manifestazioni” divennero Dei o Figli di Dio.

A questo punto è utile qualche cenno sulla “Genesi” egizia, i cui canoni vennero fissati in un “Concilio”, nel Tempio di Ra ad  On,  la Heliopolis dei greci, prima ancora dell’epoca della costruzione delle Piramidi.

In verità, gli Antichi Egizi consideravano troppo misteriosa la Cosmogonia, ossia “l’inizio delle cose”, per attribuirle un canone fisso o un unico mito.Gli Antichi Egizi, infatti, non fissarono mai un unico mito; così, se ad Eliopoli era RA il Dio-Creatore,(Dottrina Eliopolitana) ad Hermopoli era THOT(Enneade Hermopolitana)  a Memfi era PTHA.(Teologia Memfitica). Quando la Teologia Eliopolitana, imperniata su ATUM divenne la più popolare, i sacerdoti di Memfi cercarono il modo di inserirvi anche Ptha, (Verbo e Intelletto)identificandolo con il NUN da cui era emerso Atum.

All’inizio c’era il NUN: il Caos Primordiale, nelle cui Acque, Atum il Creatore, viveva in totale immobilità.

Stanco di quella solitudine, Egli procreò due figli: Tefnut, l’Umidità, e Shu, l’Aria. Questi, a loro volta, generarono due figli: Geb, la Terra, e Nut, il Cielo.
Strettamente e sessualmente avvinghiati,  queste due Divinità giacevano immobili nel Nun, fino a quando Shu, geloso della figlia, non li separò.
Quell’atto dette inizio al fenomeno della “Vita” che fu annunciata dal Bennu, la Fenice, l’Uccello dell’Annunciazione, che, dall’alto del Ben-Ben, la prima Terra Emersa, annunciò la Creazione della Vita.
Geb e Nut ebbero quattro figli: Osiride, Iside, Seth e Nefty e qui termina la cosiddetta “Dottrina Eliopolitna”, professata ad On o Eliopoli, (proprio come un Vecchio Testamento) e si apre la “Dottrina Osiriaca , professata ad Abidos (come un Nuovo Testamento).

In questa Dottrina fa la comparsa il dio Horo,  figlio di Osiride e Iside,  ma conosciamo anche Anubi,  figlio di Osiride e Nefty,.
In seguito arrivarono nuove Divinità e altre del passato, invece, si persero o si potevano ancora incontrare solo nei famosi “Testi delle Piramidi”.

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