Livilla restò a guardare nel vuoto anche quando Fabio ebbe lasciato la casa. Immobile, là dove si trovava. Le mani sui fianchi e il piede sinistro che batteva nervosamente per terra, continuò a guardare l’uscio oltre cui era scomparso. Le aveva parlato come si parla ad una bambina. Alla “sorellina”, come l’aveva chiamata. L’onda di ribellione le salì dentro, ma quel feroce senso di orgoglio le impedì la “vergogna” di corrergli dietro. Una metà di lei sentiva di detestarlo, ma l’altra metà, inspiegabilmente, era felice. Felice per la “sua” felicità.
Un velo di tristezza le scese sul cuore: aveva perso l’amico fraterno amato oltre ogni misura? Un velo di tristezza andava frapponendosi tra lei e l’antico compagno di giochi. Fra lei e il mondo intero. Il mondo intero?… No! Forse non il mondo intero… Milos! C’era Milos, adesso, che aveva svegliato in lei nuovi desideri,…. Milos, il cui pensiero la turbava e raggiungeva profondità del suo essere, sconosciute perfino a se stessa. Milos, il cui volto, d’un tratto, adombrò quello di Fabio, quasi che l’immagine dell’antico compagno non fosse più abbastanza forte da reggerne il confronto.
Era questo l’amore che intendeva Fabio? Se era così, il tempo era già arrivato!
Livilla si trovò poco più tardi e quasi suo malgrado nei pressi del Ludus Gladiatorius. Molte donne stazionavano da quelle parti; qualcuna riusciva perfino a corrompere i guardiani e ad entrare. Lei non l’avrebbe mai fatto, naturalmente. Non era entrata neppure quando Milos l’aveva invitata ad assistere agli allenamenti.
Ebbe un sorriso: forse aveva agito frettolosamente; forse non doveva venire lì. Sorridendo di se stessa e scuotendo il capo, fece l’atto di allontanarsi, ma proprio nello stesso istante, nel vano del grande portale d’ingresso, come evocata dai suoi pensieri, si stagliò la figura di Milos. Non era da solo; con lui c’era una donna.
“Decisamente vecchia! – sussurrò, guardandola e storcendo il naso – Una vecchia agghindata come una puella…” pensò, astiosa ed impietosa, continuando a fissare quella donna che osava tenere la mano appoggiata al petto del “suo” Milos.
Il “suo” Milos! Quel possesso la turbò un poco: non aveva mai pensato a un uomo come “suo”, all’infuori di Fabio, prima.
Quella donna, avanzo di una gioventù lontana, che di vivo sulla faccia aveva soltanto gli occhi, la indispettiva molto. Occhi vistosamente truccati. Come vistosa era l’acconciatura bionda, vistoso il trucco della faccia, vistosa la veste: tutta la persona grondava oro, ricchezza e lussuria.
“Ma perché certe donne quando invecchiano si combinano così? – continuò nell’impietoso soliloquio – Per sembrare più giovani?… E quand’anche riuscissero a sembrar giovani, che cosa cambierebbe alla loro natura? Spero di non diventare anch’io come questo vecchio gallinaccio, un giorno…”
Si girò per allontanarsi da lì, confusa e irritata. Anche Milos con un’altra donna. Tutti uguali gli uomini!
Fabio e Milos, oltre tutto, si somigliavano anche fisicamente… Ma no! No, anche se la prima volta che aveva visto il principe dei Traci era proprio questo che aveva pensato. Poi non ne era stata più sicura. In realtà le somiglianze erano poche. L’altezza, forse… Ma no! Milos era più alto di Fabio di più di mezza spanna e la struttura del suo fisico era più possente e sviluppata. Era biondo di capelli mentre Fabio era castano; aveva occhi di un azzurro intenso e profondo mentre quelli di Fabio erano color nocciola. No! Non si somigliavano per niente! Non più di quanto una statua di Apollo somigliasse a una statua di Mercurio! E dietro quella somiglianza fisica, suggestiva e immaginaria, naturalmente, c’era sicuramente una diversità di carattere. Fabio riservato e tranquillo, Milos esuberante e irrequieto. Pacato il rapporto col primo, eccitante con il secondo… ma tutti e due dei traditori!
Notava sempre i particolari fisici delle persone, le fisionomie, ma non giudicava mai a prima vista. Lasciava che il giudizio arrivasse da sé e con distacco. Ma quando si formava un’idea o un’opinione su qualcuno, niente e nessuno riusciva più a farla recedere dal suo giudizio.
Milos era stata l’unica eccezione. Fin dal primo incontro non si era limitata a notare il fisico dalle straordinarie proporzioni, la capigliatura bionda trattenuta da un cordino di pelle, l’aspetto quasi selvaggio: quella consapevolezza del proprio aspetto fisico che il bellissimo gladiatore imponeva a tutti a prima vista. Lei, al contrario degli altri, aveva afferrato anche l’interiorità dello sguardo d’aquila del principe dei Traci, la forte consapevolezza di chi possiede il governo delle proprie emozioni, ma soprattutto l’irrequietezza dello spirito.
“Tutti uguali, gli uomini!” ripeté e con una scrollatina di spalle si allontanò, giurando che non vi avrebbe mai più messo piede. Fatti pochi passi, però, ebbe un sussulto: qualcuno le aveva posato una mano sulla spalla. Una mano calda, grande, protettiva. Capì subito, prima ancora di voltarsi, a chi apparteneva quella mano.
“Livilla!… Ehi, Livilla!”
“Milos!” si voltò fingendo stupore.
“Ma che cosa ci fai da queste parti??… Sei venuta a cercarmi?” sorrise con tenera sfrontatezza il ragazzo.
“Non sei un po’ presuntuoso, suspiria puellarum?” fece sarcastica.
“Oh – rise lui – Non credi che le donne vengono a cercarmi?”
“Ci credo! Ci credo! L’ho vista poco fa quella gran domina tutta dipinta e colorata, farti gli occhi da pesce lessato”
“Sei gelosa, eh?!…” rise il giovane.
“E tu sei presuntuoso come tutti gli uomini. Oh, no! Non sei presuntuoso – ghignò con tenera ironia – Tu sei il suspiria puellarum! Non sei tu, che nell’arena le donne invocano e chiamano suspiria puellarum?”
Lui rise ancora, sonoramente, poi la prese per un braccio e la sospinse delicatamente lungo la strada; lei si lasciò condurre. Un lieve rossore le coprì il volto perchè lui non smetteva di guardarla e sorriderle e quando anche lei sollevava lo sguardo per guardarlo a sua volta, si sentiva come presa da vetigini. Non poteva non notare che aveva smesso di confrontarlo con Fabio e che, se in passato qualche pretendente non era stato all’altezza di reggere il confronto con l’antico compagno, Milos non solo ne reggeva il paragone ma, pareva fare di tutto finanche per superarlo.(continua)
brano tratto LA DECIM LEGIONE – Panem et Circenses ” di Maria Pace
per informazioni mariapace2010@gmail.com
CAPITOLO XV
La Fonte Egeria, nel bosco delle Ninfe Camene, sul Celio, cantava vaticinando responsi e consigli attraverso lo scorrere musicale delle acque e tutte le ragazze si recavano ad ascoltare quel canto almeno una volta nella vita.
Pure Livilla volle andarci per sciogliere un dubbio: Milos o Fabio?
Stupori e smarrimenti si succedevano dentro di lei e le immagini si alternavano davanti agli occhi della mente. Forse Milos, che aveva attraversato la propria esistenza plasmandola con la sofferenza, l’orgoglio, la ribellione…. l’arena! O forse Fabio con la sua sensibilità, la generosità, la comprensione! Fabio era sempre stato ai suoi occhi come un placido campo da attraversare in tutta sicurezza, un porto sicuro e pacifico, un nido caldo e tranquillo. Senza sorprese. L?incontro con Milos, invece, con la sua irrequietezza e lo splendore dei suoi occhi verdi, aveva svegliato in lei l’asprezza di nuovi desideri.
In cosa erano uguali e in cosa differenti? E quale dei due era l’amore. Quello vero. Quale dei due celava dentro di sè quel mondo straordinario di cui parlano i poeti. A quale dei due avrebbe consegnato per sempre il cuore? E, quello, tra i due, che l’avesse ricevuto, l’avrebbe saputo custodire?
A tutto questo pensava mentre con aria assorta e passo veloce si avvicinava al Bosco delle Camene; sopra di lei tondeggiavano le vette delle colline ricoperte di ulivi, aranci e vigne. Spingendo un po’ oltre lo sguardo, si riusciva già a vedere le grotte, naturali e non, che screpolavano le pareti del colle, capricciose e .inconsuete, come se qualche estrosa divinità si fosse divertita a graffiarle quando erano ancora tenera argilla.
Nell’attraversare uno degli impraticabili itinera in prossimità delle Mura Serviane, sulla quale si affacciavano le ultime case del sudicio quartiere, Livilla si sentiva come spinta da una irrequietezza interna. Lei non era e non si sentiva come le altre ragazze della sua età. La sua ragione era sempre stata sottoposta all’impeto della passione e le passioni, alimentate da fantasia e curiosità. Per non parlare dell’energia! Apparentemente fragile, era come un fiore di campo fiorito in una serra: delicato e pallido, ma dal profumo intenso e dalla forma armoniosa: capelli setosi e lucidi, pelle levigata e sana, fisico longilineo.
Scorse in fondo alla strada le prime querce del bosco delle Camene, la parte sacra della collina e il terreno intorno, convulso e irregolare, devastato dall’azione dei terremoti.
Apparve anche il ponte sotto cui scorrevano le acque dell’Aniene, che proprio nell’antro avevano le sorgenti e che congiungeva la strada all’altro ciglio.
Livilla cominciò ad attraversarlo. A metà percorso, però, vide venirle incontro due vecchie conoscenze che si era augurata di non rivedere mai più: quelle due Arpie dei fornici, Ulpia e Lollia. Inseparabili come la peste e la guerra.
“Ehi!… Guarda chi c’è qui! – l’apostrofò da lontano la prima e quando l’ebbero raggiunta – E guarda come è vestita bene!” fece subito eco l’altra, toccandole la spalla con la mano sudicia.
Livilla si ritrasse con un moto più di fastidio che di paura.
“Che cosa volete?” domandò.
“Ehi!… Ma si trattano così le amiche?”
“Non siete mie amiche, voi due! Lasciatemi andare.” protestò.
“Dove vuoi andare? – continuò Ulpia, poi chiamò – Ehi, Tirso! Guarda chi c’è!”
Tirso, uno di quei “gentiluomini” frequentatori di fogne, seduto ad un tavolo davanti ad una bettolaccia, che Livilla riconobbe subito, si avvicinò, il braccio destro avvinghiato intorno ad un nodoso e polveroso ramo a mò di stampella.
“La nostra piccola ninfa credeva che tu volessi davvero azzopparla o renderla guercia…ah,ah,ah!” rise sguaiatamente Lollia, mentre lo zoppo la scrutava, così come aveva fatto nei sotterranei; la sua voce le scrosciò addosso come una doccia fredda.
“Non era una cattiva idea, Per Giove Tonante! – disse continuandola a fissare – Una bella benda nera su un occhio.. qualcuno potrebbe anche impietosirsi e darti qualche denarius. Anche solo un asse da giocare a dadi. Per Dionisio!”
“Ubriacone! Ora che l’hai rivista puoi anche andartene.” tentò di allontanarlo Ulpia, spingendolo all’indietro con il suo pancione.
“Prima dammi un asse, donna… Un misero triens, per Plutone!” insisteva quello, indietreggiando, pressato dalla montagna di carne.
“Via! Via!” continuava l’altra.
“Allora dammi il ciondolo che hai al collo. Te l’ho dato io e lo rivoglio!” lo zoppo allungò una mano verso il collo taurino della donna e dall’interno della scollatura della sudicia tunica estrasse un gioiello, una armilla legata ad una cordicella. Ulpia la difese con uno strattone e tirandosi indietro di un passo.