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“Meridiani & Paralleli – Polo Sud” di Ilaria Messina e Romina Gotti
Quanti uomini, quanti sogni infranti nell’estremo tentativo di raggiungere la meta, quanti corpi mai ritrovati! Tombe di ghiaccio, di acqua e distese solitarie. Quali pensieri prendono forma nella mente di chi è consapevole che il viaggio è arrivato al termine, che non c’è più scampo, che non si tornerà al caldo tepore della propria dimora, che ormai il destino è segnato? Gesta eroiche di coloro che hanno affrontato l’ignoto per aiutare i compagni, per concedere più possibilità di riuscita dell’impresa, sacrificando la propria vita; il loro nome é ricordato nel tempo e nelle viscere della terra che lo ha accolto.
L’avventura ci ha condotto al sud, molto al sud al polo, terra di nessuno, continente bianco, pianeta alieno, senza presenza umana. Incontaminato e sconosciuto.
Temperature estreme non compatibili con la vita umana; quella terra sulle carte geografiche così lontana, avvistata da curiosi marinai che le correnti hanno spinto molto a sud. Andava scoperta, calpestata ed esplorata, a volte anche sorvolata da occhi e piedi umani.
Sopravvivere prima di tutto….
Antartide. Terra estrema. In ogni senso: estrema perché all’estremità meridionale del globo, estrema per la durezza della condizione ambientale e climatica, tale da renderla la zona più fredda della terra.
Il quinto continente, quello più a sud del mondo, deve il suo nome proprio a questa peculiarità: a fine ‘800 il cartografo scozzese J.G. Bartholomew lo battezzò “Antarctica”; sin dai tempi di Tolomeo, se ne ipotizzava l’esistenza.
Antartide, terra glaciale per antonomasia: ha un’altitudine media superiore a quella dell’Artide, costituita quasi interamente da una coltre di ghiaccio spessa anche 1600 mt, raccoglie il 90% delle masse ghiacciate del pianeta e il 70% della riserva d’acqua dolce totale, la sua temperatura invernale può raggiungere i 90 gradi sottozero.
Una terra inospitale, arida, disabitata, eccetto che per i tecnici, gli scienziati e gli esploratori delle stazioni di ricerca… e ovviamente i pinguini. Non dimentichiamoci dei pinguini!
Una terra allo stesso tempo magica, con un cielo da fantascienza, dotato di due o tre soli come un pianeta di un’altra galassia. E’ l’effetto del “sole fantasma”, di cui sono responsabili i cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera che, riflettendo la luce, formano dei cloni dell’astro solare. E il pulviscolo ghiacciato crea anche un altro spettacolo naturale: bachi di nebbia chiamati “polvere di diamanti”. Ultimo ma forse ancora più eclatante la famosa “aurora australe”, artefici, stavolta, i venti solari che emanano bagliori verdi e azzurri.
E’ questa la magia che ha ammaliato i primi esploratori, spingendoli a voler calpestare questa immensa distesa di ghiaccio, nonostante le difficoltà e le condizioni inospitali, solo per poter dire “noi siamo stati qui”?! Probabilmente è ciò che ha spinto il giovane norvegese Roald Amudsen, a lasciare gli studi di medicina per seguire il richiamo del mare e la sua vocazione all’avventura… All’inizio però fu sfortunato: nel 1897, aggregandosi alla prima spedizione in Antartide condotta da De Gerlache, la cui nave rimase bloccata per un anno nel mare ghiacciato, in balia del vento e dello scorbuto …imparò almeno l’arte della sopravvivenza…nel 1905 guidò la prima traversata via mare del passaggio a nordovest, dalla Baia di Baffin allo Stretto di Bering. La sfortuna si accanisce ancora sul nostro esploratore: nella corsa al Polo Nord non è solo, anzi già due concorrenti stanno gareggiando per raggiungere il traguardo con un netto vantaggio su di lui: Cook e Peary… La delusione è cocente ed egli inizia per la prima volta a considerare il Polo Sud come meta alternativa… ma anche qui sorge un ulteriore problema: annullando la spedizione al Polo Nord, rischierebbe di perdere i finanziamenti statali, anche perché già l’Inghilterra sta organizzando una missione in Antartide guidata da Robert Scott e sarebbe un affronto a livello diplomatico sfidare gli inglesi.
Nel 1910 salpa con la nave Fram, e proprio tra i flutti dell’Oceano Atlantico avvisa l’equipaggio di un brusco cambio di programma o meglio di direzione: il timone va puntato verso sud, alla faccia degli inglesi!
In fondo in amore e in guerra tutto è concesso.
Robert Falcon Scott nacque nel 1868, la sua competizione con Roald Amundsen per la conquista del Polo Sud lo ha condotto alla morte e al ricordo eterno. Nel 1901 salpa con il Discovery per il polo sud, giunge nel mare di Ross, l’inverno è vicino, il tempo peggiora si rischia di rimanere imprigionati dal ghiaccio che abbraccia lo scafo e tutto scricchiola. Fitte nubi si addensano , i venti si sono alzati, nessuno è al sicuro durante una tempesta. Trascorre l’inverno a bordo della nave al largo ,lontano dai ghiacciai pericolosi, in compagnia di Wilson e Shackleton. Slitte e poni per la loro prima esplorazione e passeggiata nell’isola di Ross, all’orizzonte il monte Terror.
Nel 1910 la 2a spedizione,fatale per tutti e cinque i componenti. Terranova Bisogna battere Amundsen nella corsa alla conquista. Lotta contro il tempo. Molto esperto, il norvegese, lo vedremo conquistatore del Polo Nord; troppo impreparato, Scott, che decide di non affidarsi ai cani da slitta. Perché?
Errore fatale! Egli cerca di portare a termine l’impresa con cani inadatti alla temperatura. Sbaglia periodo dell’anno, sta arrivando l’inverno In cinque; forse troppi: più si è, più risorse si consumano.
Le condizioni atmosferiche e le tempeste lo fermano, ritardano la marcia, sfiancano i partecipanti e anche l’anima. Quando raggiungono la meta , quel punto sulla carta, vi trovano il nero vessillo lasciato sulla slitta dall’esploratore norvegese.
Che fare? Quali pensieri , quale sofferenza fisica e morale devono aver provato! Non resta che tornare sui propri passi. Pensate sia facile? E adesso che arriva il disastro. I viveri si sono esauriti.
Amundsen impiegò un tempo relativamente breve per rientrare alla base provvisoria, Scott si imbatte in tempeste, gli animali saranno morti, i cinque diventano quattro, si arrendono in una tenda a poche miglia dalla costruzione che conservava viveri, predisposta da Scott nella prima spedizione, ma questo loro non lo sapevano. Dei quattro ne rimangono tre: sacrificio estremo per permettere la sopravvivenza degli altri. Inutile! La lucidità deve essere venuta meno: avrà retto la tenda alla forza di quei venti che sembrava volerla strappare?
Il loro rifugio si trasforma nella loro tomba, i loro corpi verranno ritrovati anni dopo. La sconfitta dell’uomo sulla natura, l’impossibilità dovuta ad errori umani e alle condizioni atmosferiche.
la competizione….ilnostro Amundsen non insegue l’avversario Scott già sulle orme di Shackleton, un altro esploratore che aveva in passato tentato l’impresa senza successo, ma decide di seguire una rotta diversa.
Per questo giunge alla Baia delle balene lungo la barriera di Ross e qui pianta il campo base. Il percorso è più lungo e sconosciuto rispetto a quello intrapreso da Scott, ma dalla sua Amundsen ha l’intuizione di scegliere i giusti mezzi: slitte trainate da cani rispetto ai poni e alle slitte a motore dell’avversario.
Proprio questo si rivelerà determinante per la riuscita dell’impresa. Dopo un primo tentativo fallito, con metà della squadra a rischio congelamento colpiti da una tempesta di neve, il nostro eroe si prende la rivincita sulla sfortuna il 19 ottobre 1911 , Parte con 5 uomini , slitte e 52 cani
In un mese attraversa la baia di Ross e arriva al Plateau, qui pianta la tenda per riprendere le energie. Fuori un bianco accecante, tempesta e neve, all’interno niente viveri, uomini e cani affamati, che fare?
C’è solo un modo , la decisione unanime. 24 cani vengono uccisi per permettere a uomini e cani superstiti di sopravvivere. La tempesta cessa, il 14 dicembre 1911 il gruppo arriva al polo sud, 35 giorni in anticipo su Scott.
Lascia una slitta, una bandiera ed una lettera dove rivendica l’impresa.
3000 km, 16 cani, dolore e fatica, 5 uomini: la soddisfazione di essere primo, di aver calpestato la terra che molti hanno sognato, altri tracciato le insenature, ma irraggiungibile tranne che per il norvegese.
Un destino in comune Scott trovò la morte nel bianco del polo sud, Amundsen cercando di aiutare l’amico Nobile spari nelle nevi del polo nord con il suo aereo, riposano entrambi nei ghiacci, scopo unico di una vita, forse quello che hanno sempre voluto, perdersi per sempre in questo infinito.
….28 marzo 1912
I viveri sono finiti da giorni, la tempesta non si placa, la situazione sta peggiorando, non è possibile che qualcuno giunga in pieno inverno af aiutarci e noi ormai mezzo congelati non possiamo lasciare il rifugio, siamo rimasti in tre, lascio il mio diario ai posteri.
“Fossimo sopravvissuti avrei avuto una storia da raccontare….”
Dal diario ritrovato di Robert F. Scott
Fonti enciclopediche
Immagine dal web
“Ragazze in viaggio… L’IRLANDA” di Valeria e Romina
“VISIONE D’IRLANDA” di Valeria BELTAINE
“In questo periodo dell’anno l’Alba arriva più presto, sono stata svegliata dalla sensazione della Luce e dal rumore continuo dell’Acqua che bagna la Terra. Una pioggia torrenziale. Amo la Natura, è bellissima, e potente.
Sono Ceili, aspirante sacerdotessa della Grande Dea Madre. E’ ora di alzarsi, di là mi aspettano il pasto del mattino e una grande cesta colma di fiori misti, colti ieri pomeriggio durante la passeggiata con le mie compagne.
Ora i prati sono pieni di fiori meravigliosi e la Natura tutta si sta risvegliando dall’assopimento dei mesi freddi; animaletti ora si scorgono che prima stavano ben nascosti e protetti nelle loro tane… L’attività della giornata sarà trasformare i fiori colti in corone fiorite, intrecciando i fiori freschi con nastri e paglia secca. Indosseremo le nostre corone di fiori domani e le nostre vesti sacerdotali per la celebrazione dei riti di Beltain… Stasera verrà spento ogni fuoco del villaggio. Domani i riti cominceranno con la preparazione dei Fuochi di Beltaine.
Ci recheremo sulla cima del colle, le donne prepareranno due buchi nel terreno e gli uomini andranno a raccogliere i legni di nove Alberi sacri (*). Verranno messi nelle buche e verranno accesi i Fuochi. Essi rappresentano il maschile e il femminile, la Terra che dà nutrimento e il Dio Fecondatore.
Parteciperà ai riti una mia consorella, ormai è pronta, ha concluso il suo addestramento: è la “Vergine Cacciatrice”.
Ella è così chiamata perché né padre, né marito possono imporsi su di lei, Ella è completa in se stessa. Il suo compito è fondersi con l’energia maschile, il Dio Cervo. Quest’unione sacra ci farà sperare in campi fertili, e in un raccolto prosperoso, che possa sfamare tutto il villaggio e le bestie. Pregheremo e danzeremo questa notte…”
Siamo in Irlanda, sulla collina di Uisnech, contea di Westmeath, III secolo a.C., Riti di Beltane imminenti, druidi e sacerdotesse si stanno preparando..…
Beltane, dal gaelico irlandese “Bealtaine” che significa “Fuochi di Bel”, è la festa della Luce. Bel è la divinità della Luce e del Fuoco. L’anno per i Celti era diviso in due parti, ognuna di sei mesi, la parte della Luce, del caldo: l’estate, da Beltaine a Samhain (Halloween); e la parte del buio: dell’inverno, da Samhain a Beltaine.
Beltane cade il giorno che sta a metà tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate. Dopo il lungo inverno il sole torna a scaldare l’aria, i pascoli, gli animali vengono lasciati liberi, e anche l’uomo sente questa influenza benefica… Sbalzi ormonali, Luce, spensieratezza e l’entusiasmo della Rinascita, il lavoro prosperoso nei campi, l’Amore, la raccolta, una ritrovata Fertilità Interiore! C’è tanto da festeggiare per i nostri antichi Celti!
La celebrazione cominciava con l’accensione delle pire, sempre sopra un colle, in modo che fossero ben visibili anche da lontano; continuava con il pranzo di tutto il villaggio e successivamente ci si dedicava a danze e riti sacri.
Altre leggende dicono invece che i Fuochi venivano accesi la sera della vigilia di Bealtaine, precisamente al tramonto, per continuare ad ardere tutta la notte fino al mattino in un momento di transizione, poiché per i Celti il giorno andava da sera a sera… Ma chi lo sa veramente come andava? Io no…..possiamo solo immaginarlo.
I due Fuochi Sacri di Beltaine erano posti uno vicino all’altro, tra i due vi era una distanza non maggiore di due metri. Il rito principale prevedeva che tutte le persone camminassero in una sorta di processione, in mezzo ai due Fuochi, portando con sé anche il bestiame.
Beltaine rappresenta, infatti, la Rinascita, La Purificazione e la Fertilità, la Salute. Il passaggio attraverso i Fuochi è simbolo evidente di purificazione, forse in particolar modo per il bestiame, metodo utilitaristico per debellare parte dei batteri che durante l’inverno si erano depositati nel manto degli animali.
Nel momento in cui il Fuoco stava per spegnersi era buon auspicio saltarlo per attirare la fortuna, usanza praticata ancora oggi in Irlanda e Scozia. A tutti è nota la Fortuna dell’irlandese, Luck of the Irish! Infine le ceneri venivano sparse sui campi per garantire la fertilità della Terra…
Al termine delle danze gli innamorati si appartavano nell’oscurità dei boschi per continuare la “loro” celebrazione rituale della festa. Era infatti tradizione per le coppie, esistenti o improvvisate sul momento, dedicarsi all’Amore libero, praticato a contatto diretto con la Natura. Molte vite venivano concepite in questa notte e Beltane viene anche detta la festa della generazione di bambini.
La collina di Uisnech si trova nella contea del Westmeath, ovvero la porzione occidentale (West-Meath) dell’antico regno di Meath (o Mide), che significa “mezzo”. Si trova, infatti, al centro dell’amata isola.
La tradizione dice che nella collina di Uisnech si accendessero i Fuochi di Beltane e si svolgessero cerimonie druidiche. Si dice che il Fuoco Sacro potesse essere visto dalla collina di Tara e che quando i druidi di Tara lo vedevano, accendevano il loro fuoco.
Perché sono così affezionata a questa festività celtica-irlandese?
Perché ne sono stata attirata in modo viscerale fin quando l’ho scoperta interessandomi all’Irlanda, l’ho sempre trovata piena di immenso fascino….. Al di là di tutte le nozioni culturali e storiche che possiamo fornire, penso che vivere questa tradizione sia la cosa migliore. Penso che dev’essere stato surreale trovarsi al tempo dei Celti… Una festività che mette in comunione con la Natura, con tutto ciò che è stato creato, il mondo vivente circostante, piante, animali, Aria, Terra, Fuoco e Acqua… Un’unione con la Vita e la sua ciclica Eterna Rinascita che non ho percepito o trovato altrettanto convincente in altre culture…
Provate ad immaginare di essere in questa collina, vicini al “Ail na Míreann” una grande pietra simbolica, significa “stone delle divisioni” perché indicava il confine territoriale con le altre province; si percepisce la sua potenza fisica standole di fronte. La sentite? E’ come un campo circolare tutt’intorno ad essa in cui ci sentiamo “dentro”, siamo parte di qualcosa…E’ una pietra, non è viva, ma allo stesso modo lo è. E’ ormai il tramonto, la salita fin qui è stata pesante e faticosa…e il caldo non ha dato tregua. Serve un attimo di riposo, ma durerà poco… Ci sono tante cose da fare. Siamo in tanti e ognuno svolgerà un po’ del lavoro. I Fuochi si accendono finalmente ed è indescrivibile il profumo della legna che brucia….. Siamo qui in questo prato sulla collina, ma i nostri sensi sono altrove… Sono dentro al Fuoco, si stanno purificando, i nostri pensieri sono gioiosi, spensierati, tutti i nostri amici sono qui con noi a danzare vivacemente, la nostra anima guizza qua e là, tra il calore del fuoco e il fresco nei pressi degli alberi del bosco che si estende poco in là… E’ là che dopo andremo, saremo immersi dall’oscurità ma i Fuochi di Bealtaine ci rammenteranno sempre la Luce, ed è lì che ci uniremo tra noi e con la Natura…..
Ho sempre apprezzato anche il lato sessuale della festività per il valore dell’Amore istintivo, spontaneo, libero, sensuale, praticato dai Celti all’interno dei boschi dopo i riti sacri; anzi io considero anch’esso un rito sacro, in quanto comunione con la persona amata e con la Madre Terra che ci ospita.
Fonti
–https://it.wikipedia.org/wiki/Beltane
–http://www.thereef.it/craft/streghe/sabba/beltaine.htm
–https://pagananonima.wordpress.com/2015/05/01/beltane/
–https://www.facebook.com/groups/46636903011/permalink/10154836842953012/
Immagine tratta dal web
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VISIONE D’IRLANDA di Romina GOTTI
St Columbus Cathedral, chiesa di Derry Londonderry, antivigilia di Natale h 10 pm 23 dicembre 1867 …
Manca poco ormai a Natale, la neve ha iniziato a cadere, se continua con questa intensità domani sarà tutto d’un manto bianco, la chiesa, il campanile, i tetti, le strade, gli abeti, i cuori…. Devo sbrigarmi a finire il lavoro; mia moglie e i ragazzi mi aspettano per cena, dobbiamo terminare i lavori di ristrutturazione della Chiesa entro Natale.
Qui nella cripta sono sepolti generazioni di uomini di Chiesa, spostare le loro spoglie mortali non è il lavoro più allegro che abbia portato a termine come carpentiere. Anche l’organista fa gli staordinari. Da qualche minuto sta suonando una canna dell’organo… deve avere qualche problema. Sarà l’umidità! Chissà se ha qualcuno che l’aspetta, non si dovrebbero mai trascorrere le festività da soli. Riprenderò domani mattina, adesso esco di là e passo a salutarlo: una birra alla taverna i dodici apostoli ecco cosa ci vuole per scaldare queste ossa.
Non sono dello spirito più adatto per passare dal tunnel che collega la cripta al cimitero. Risalgo le scale. Non c’è nessuno seduto all’organo, sarà uscito mentre mi avvicinavo; sento ancora i suoi passi che si allontanano, sarà uscito dalla sacrestia . Neanche lui riesce a stare solo con i santi, stasera.
Irlanda, Eire in gaelico, terra di leggende, di castelli, di fantasmi, folletti, entità soprannaturali e di un verde intenso che sfuma tutto anche l’anima .Leggende, dicevo.
Venite con me. Entriamo. Il cancello è aperto. Vi porto a conoscere gli aspetti meno conosciuti e più misteriosi di questa terra.
William Higgins vesvovo di St Columbus.
Nel 1867, i lavori di ristrutturazione obbligarono gli operai a disturbare il suo riposo per destinare le sue spoglie mortali ad altra dimora. Da allora l’organo della chiesa suona senza che mani lo sfiorino; la notte vi consiglio di trascorrerla davanti ad un focolare domestico o nel proprio letto. Non disturbate chi dorme il sonno eterno.
Se non siete deboli di cuore e impressionabili, vi racconterò un altro episodio.
Ci spostiamo a St Peter Church. Il protagonista è Oliver Plunkett arcivescovo e teologo martirizzato durante il regno di Carlo II. venne imprigionato a Dublino e poi impiccat; la sua testa viene conservata nella chiesa di St Peter appunto, il corpo giace in Inghilterra nell’abbazia di Downside.
E i castelli? Non possiamo dimenticare i castelli. Chi abita i castelli? Gli irlandesi? No! I fantasmi….entità che vagano- nelle torri, nei corridoi…come nel castello di Mahahide a Dublino.
X.III secolo. Parco e fantasmi inclusi. Chiedetelo ai visitatori.
E la camera segreta al castello di McMahon’s? Chi è entrato non è più uscito. Rimangono solo le rovine di quel castello. A me piacerebbe entrarci,. A voi no? Dov’è la stanza segreta? Ci dormireste in un castello infestato, magari vi compare davanti al letto un tipo del XIV secolo che vi chiede “Milady da che parte è l’uscita….”
E a kinnitty castle è del XII secolo; guglie gotiche verso il cielo e fantasma a terra , verdi panorami , gnomi e fate, addirittura la montagna delle donne, mitologia irlandese.
E se vi dicessi che ho scovato pure una piratessa capace di tener testa alla flotta inglese di Elisabetta I? Grace O.Malley, spirito indomito, Regina dei mari. Quattro figli e due mariti, una passione navigare , non per ammirare i paesaggi ma per combattere come un pirata caraibic.o la flotta di sua Maestà. Tanto accanita che le due signore si incontrarono e scesero a patti. Ve lo immaginate l’incontro? Io si!
Grace vestita da pirata con la sciabola ed il cappello, la regina con un abito da cerimonia, ma l’aspetto con conta, tra donne ci si intende e la nostra piratessa del nord si mette a cercar vascelli dei nemici dell’Inghilterra. Sacro è un patto tra donne, muore nel suo castello, nel 1603 come Elisabetta, ah se Elisabetta non fosse stata tenuta a freno dai doveri di una regina che splendide avventure avrebbe vissuto.
Torniamo a noi avevamo lasciato il nostro carpentiere nella chiesa vediamo dove va…. Chiudo il cancello della chiesa .la neve ha già coperto tutto i suoni sono diminuiti d’intensità,
Strano come con la neve. Tutto sembra rallentato. Sento di nuovo l’organo, allora non si era allontanato troppo, magari solo per prendere uno spartito. Mi incammino per strada, alzo il bavero del cappotto e infilo i guanti. Mia moglie mi avrà preparato il montone con verdure innaffiato con una buona birra. Chissà se l’organista ha qualcuno che lo aspetta.
Fonti www.Wikipedia.com
Www.ireland.com
Immagine dal web
“LA PAROLA E L’ IMMAGINE – OTTAVIA TAURINA MINORE” di Lia JONESCU
Ottavia Taurina, meglio conosciuta come Ottavia Minore, sorella di Ottaviano Augusto, nasce a Nola nel 69 e muore nell’ 11 a.C. a Roma. Va sposa, a 15 anni, a Gaio Claudio Marcello, discendente da quel Marco Claudio Marcello che fu eroico combattente nella seconda Guerra Punica.
Ottavia amò suo marito e con lui ebbe tre figli; purtroppo nel 41 a.C. rimase vedova ed era incinta del suo quarto figlio. Nello stesso periodo, anche Marco Antonio era rimasto vedovo della moglie Fulvia; Ottaviano Augusto, che era stato in serio contrasto con Marco Antonio ,essendosi con lui riappacificato, volle consolidare questa amicizia creando una parentela e facendo quindi unire in matrimonio sua sorella Ottavia e l’ amico ritrovato. Per questo matrimonio fu abolita la legge per la quale una donna incinta non poteva contrarre matrimonio con un uomo diverso dal padre del nascituro.
Ottavia ebbe altri due figli con Antonio e crebbe anche quelli che lui aveva avuto da Fulvia. Nella campagna contro i Parti, Antonio aveva purtroppo riallacciato i rapporti con Cleopatra, che era stata la causa della discordia con Antonio. Nel 32 a.C. Antonio mandò dall’ Egitto ad Ottavia la lettera di divorzio con la quale dava fine legale al matrimonio ( a quei tempi era assai più facile e meno formale bastava una piccola formula).
Ottavia non accettò l’ aiuto del fratello , ormai nemico dichiarato di Marco Antonio; un figlio di Antonio e Fulvia, Marco Antonio Antillo, fu fatto giustiziare da Ottaviano come, in seguito, quelli avuti da Cleopatra e Ottavia rimase fedele alla memoria del marito.
Augusto adottò il figlio di Ottavia e di Gaio Claudio Marcello che però morì prematuramente. Lo zio, affranto dal dolore, fece erigere in suo ricordo il Teatro di Marcello.
Si racconta che, allorché Virgilio ( con un gesto piuttosto furbo) ,dedicando al giovane alcuni versi dell’ Eneide, declamò davanti ad Ottavia ed Augusto ” Tu sarai Marcello…..” la madre rimase talmente colpita che regalò al poeta una gran quantità di sesterzi.
Ottavia morì nell’ 11 a.C. e Augusto le tributò molteplici onori e il popolo tutto partecipò.
Ottavia Taurina Minore, donna grandissima, rimane ad esempio dell’ amore coniugale e materno .
Esplorazioni – Alexandra David-Nèel… Una donna in Tibet” di Romina GOTTI
“Aperitivo filosofico – PLATONE e la Teoria della Conoscenza”di Sabrina Granotti
“Meridiani & Paralleli – Wallace” di Romina GOTTI
Sandokan, la Perla di Labuan, Brooke, la Malesia di Salgari. Sumatra, Borneo, Giava, Serawak, tagliatori di teste, foreste impenetrabili… che esploratori siete se, nominandoli, un brivido non scuote la vostra anima? Basta il nome Malesia e avete già lo zaino in spalla, un biglietto sul primo piroscafo in tasca e un formicolio nelle gambe.
Siamo nel 1800, le foreste del Borneo si raggiungono dall’Europa, transitando dal Canale di Suez, Isola di Ceylon , Malesia, Sumatra, borneo Giava, Isole della Sonda, Molucche ,Nuova Guinea. Certamente non ci sono gli aerei ma, non sarebbe altrettanto emozionante.
È quasi notte nella foresta, sta piovendo , qui piove sempre siamo ai tropici al riparo dai predatori sotto arbusti di conifere….accidenti alle sanguisughe si attaccano alla pelle e toglierle è un inferno , bisogna bruciarle. Anche gli uccelli del paradiso hanno smesso di cantare ascoltano la pioggia. Chiudo gli occhi appoggiato ad un tronco…..
Alfred Russel Wallace, naturalista inglese, nasce nel Galles meridionale nell’inverno del 1823. La sua è una famiglia numerosa ed è costretto a lasciare gli studi a causa di difficoltà economiche. Si imbarca giovanissimo su un piroscafo destinazione Amazzonia E’ il 1848.
Trascorre sul Rio delle Amazzoni quattro anni. Esplora, cataloga, raccoglie campioni fiori e piante e spedisce tutto in patria ai musei. Malauguratamente, un incendio incontrollabile distrugge la nave e tutto il contenuto delle casse nella stiva. Se ne vanno in fumo gli sforzi di quattro anni di duro lavoro e con loro profitti, diari, specie uniche. Il nostro eroe si salva per miracolo gettandosi in mare.
Dopo l’Amazzonia si dirige nel mar della Cina e poi in Malesia. Si ammala. La malaria è una costante, ma Wallace si riprende velocemente.
Per circa dieci anni esplora e cataloga in lungo e in largo le regioni meno conosciute della penisola malese da Sumatra allo stretto della Sonda. Qui tra primati orangutan, macachi, tarsio dalle dita lunghe, elefante pigmeo, orsi malesi , rettili serpenti, leopardi, rinoceronti asiatici, 400 specie di uccelli, più di 15000 piante di conifere, arbusti spinosi, mangrovie, eucalipti e la famiglia delle orchidaceae formula, la sua teoria della “biodiversita ed evoluzione.”
Tornato in patria ,scrive un libro sulla selezione naturale; nello stesso periodo, siamo intorno al 1858, Darwin fa la stessa cosa: due libri, due zone climatiche diverse, una teoria. Wallace scrive e invia la sua teoria e diventeranno amici.
Muore nella sua terra il 7 novembre 1913, l’uomo che scoprì un ramo fondamentale della biodiversita’.
È ormai notte alle Molucche , sogno la mia dimora nel Galles, sono seduto a cena fuori piove ed in lontananza sento cantare gli. uccelli del paradiso
“PIRATI &CORSARI – Francis DRAKE” di Romina GOTTI
“La Parola e l’Immagine – TITUS PETRONIUS NIGER” di Lia JONESCU
TITUS PETRONIUS NIGER.
TITO PETRONIO NEGRO più semplicemente PETRONIO
La sua origine è discussa molti lo credevano di origine Gallica, ma la tesi più accreditata lo voleva di origine campana in quanto da sempre aveva una casa a Cuma, anche se una parte della sua vita la visse a Roma alla corte di Nerone così come ci tramanda il buon Tacito nei suoi Annali.
Perché i maggiori storici romani abbiano sempre snobbato quest’ uomo affascinante ed ,il suo modo di vivere, non si è mai spiegato.
Malgrado il suo essere libero nei costumi e amante, forse, della trasgressione e sicuramente gaudente, si dimostrò prima un ottimo proconsole e in seguito un ancor migliore console in Bitinia dal 62 al 64, dimostrandosi determinato e sempre all’ altezza della situazione.
La realtà e ciò che colpiva chiunque lo avvicinasse e la sua più grande dote era l’ intelligenza, una grande apertura mentale e soprattutto la sua indiscutibile eleganza che gli fruttò il titolo di Arbiter Elegantiarum.
Fu amato dal popolo e da tutti i suoi accoliti.
Tornato a Roma dalla Bitinia Petronio si rigetto nella sua vita , Nerone fu affascinato da quest’ uomo perché vedeva in lui tutto ciò che a lui mancava, la bellezza fisica, l’ acume e il successo e lo volle acanto a se come consigliere. Nerone non muoveva un passo senza essersi consultato con lui così come aveva fatto con Seneca. Era diventato lo ” scenografo” della sua vita e Nerone istrione e coreografico si giovava della sfrenata ma squisita fantasia di Petronio.
Alla corte di Nerone,come spesso accade per la sete di potere , Petronio provocò rancore, invidia ed odio in grande quantità. Tigellino, prefetto del Pretorio , vedeva in Petronio un potente rivale che bisognava togliere di mezzo. Tigellino riuscì a corrompere uno degli schiavi di Petronio affinché accusasse il suo padrone di aver preso parte alla congiura di Pisone atta ad uccidere Nerone.
Petronio era a Cuma quando fu raggiunto dalle infamanti accuse mentre lo stesso Nerone si stava spostando in Campania.
Così Tacito ci racconta la morte di Petronio:
– In quei giorni Nerone si era spinto in Campania e Petronio a Cuma dove venne trattenuto. Egli non sopportò restare sospeso tra la speranza e il timore; non volle tuttavia rinunciare precipitosamente alla vita ,si tagliò le vene e poi le fasciò per poi riaprirle nuovamente intrattenendo gli amici su temi non certo severi o tali da procurargli fama di rigidezza. A sua volta li ascoltava di teorie sull’ immortalità dell’ anima o massime sui filosofi o poesie leggere e versi d’ amore.
Ai suoi schiavi diede la libertà e doni ad altri quelli che lo avevano tradito fece dare frustate. Andò a pranzo assai debole e si assopi’ non volendo che la sua morte fosse imposta ma sembrasse un trapasso.
Come era d’ uso, non aggiunse nel suo testamento codicilli adulatori nei confronti di Nerone e di Tigellino,
ma anzi denunciò le nefandezze del principe, citando il nome degli amanti, delle prostitute e di tutte le sue perversioni. Dopo averlo sigillato lo inviò a Nerone, quindi spezzò il sigillo perché non fosse riutilizzato e si fece riaprire le vene –
Era il 66 DC Petronio aveva 39 anni
Una storia ,molto romantica ,ci racconta che la sua schiava amante Eunice si fece tagliare le vene per seguire il suo adorato padrone nell’ Ade. Mentre ancora Tacito ci dice che tutto ciò che di splendido e prezioso come una preziosissima coppa di giada era di proprieta di Petronio lui stesso lo fece distruggere perché non fosse ereditato da Nerone.
Non tutti sono d’accordo che il Satirycon fosse una sua creazione, anche se molte poesie andate perse gli sono attribuite, ma a noi piace pensarlo e mi propongo di pubblicarne dei brani tra i più gustosi ed indicativi, come omaggio ad uno dei più affascinanti uomini della storia.