“IL PERSONAGGIO della SETTIMANA… RE SCORPIONE”

L’APPUNTAMENTO del GIOVEDI’   di  Maria Pace

RE  SCORPIONE e la Dinastia "O"

Studiosi ed egittologi hanno diviso (per comodità) la Storia egizia in lunghi periodi: Antico, Medio e Nuovo Impero, interrotti da  un  Primo e Secondo periodo Intermedio in cui si susseguirono 30 Dinastie.
Sulle prime Dinastie, però, ancor oggi vi sono dubbi ed incertezze circa la datazione e gli stessi Sovrani. Cosicché, si è circoscritto un periodo (e le sue vicende) racchiudendolo in una “DINASTIA O”  antecedente al 3.200 a.C.
Nella presentazione di alcuni Faraoni noti e meno noti, partiremo proprio da uno di questi Sovrani appartenuto alla Dinastia O e conosciuto con il nome di:

RE SCORPIONE

Fu l’ultimo Sovrano della Dinastia 0.

Va precisato che non si trattava di veri e propri sovrani, ma di capi e principi locali.
Secondo le antiche credenze religiose e storiche, in Egitto in origine regnavano gli Dei, cui succedettero i Semi-Dei, i quali prepararono l’avvento al trono agli uomini.  Re Scorpione, secondo la tradizione, fu l’ultimo dei Re Semi-Dei.
Comparve sulla scena nell’Alto Egitto quasi all’improvviso ma, in realtà, la sua presa di potere fu frutto di strategia militare, diplomazia e conoscenza scientifica in relazione soprattutto alla metallurgia dell’epoca del bronzo, alla distribuzione delle acque mediante la canalizzazione ed alla creazione di “chiuse” ed allo sviluppo dell’agricoltura.
Scorpione fu anche un Re-Guerriero e lo testimonia la straordinaria “Mazza da guerra” in calcare, proveniente dal sito di Jerancopoli, l’allora capitale del territorio e conservata al Museo di Oxford. Vi é anche raffigurato, però, il Sovrano nell’atto di compiere una Cerimonia Solenne durante la ripolitura di canali di irrigazione, dopo il ritiro delle acque che vi avevano  deposto il fertile limo.

Questo reperto costituisce, in sostanza, l’affermazione di Sovranità  da parte di Re Scorpione (questo nome gli è stato attribuito dagli storici a causa del geroglifico di scorpione inciso sulla mazza)  su tutto il territorio dell’Alto Egitto ( il Sud del Paese) e sulle popolazioni, compresi i nomadi che si spostavano di oasi in oasi.

Sara con lui che si comincerà  a delineare l’Egitto Faraon<faraonico.< p=””>ico.

 

Lo Scorpione non è certo il personaggio presentato nell’ultimo film, (dagli effetti speciali e dalle tante inesattezze storiche) ma è certamente una figura straordinaria.  Non si presenta come un principe o capo-clan, (numerosi, all’epoca), ma come un vero Monarca incoronato.
Non si limita a guerreggiare e conquistare popoli e territori, ma trasforma paludi e terre aride in terre coltivabili.  Controlla le piene del fiume, costruisce dighe, chiuse e canali,  favorisce lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, quello della lavorazione del legno e del metallo, della tessitura e della ceramica. Soprattutto del metallo: estrazione, lavorazione e trasformazione.
Lo Scorpione è, in verità, il primo grande Sovrano di un Egitto non ancora unificato.

Su di lui fioriscono molte leggende, leggende, che affondano le proprie radici in miti assai lontani, risalenti alla lotta fra i Seguaci di Horo e i Seguaci di Seth.   Si tratta di un mito (quello della lotta fra Horo e Seth) che trova riscontri nelle vicende storiche e cioè, nelle lotte con alterne vicende fra popolazioni dell’Alto e del Basso Egitto prima dell’unificazione dell’intero territorio.

Il mito.
Scorpione, il cui nome dovrebbe essere Selk-Hor (Selk, come Scorpione e Hor, come seguace di Horo), secondo la leggenda era figlio di un principe locale seguace di Horo e della dea Scorpione. Sterminata la famiglia a seguito di un’ennesimo scontro (o congiura) e scampato all’eccidio, il ragazzo venne allevato da un fedele servitore.
Valente guerriero e gran conoscitore della metallurgia, costui lo rese edotto dei “segreti della natura” e lo avviò alle armi, fino al momento della riscossa che lo renderà il protagonista dellinizio di una delle più straordinarie avventure dell’uomo… il resto è quel poco che si può dedurre dalle scoperte archeologiche.

 

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AA’HIT, Signora del Primo Pilone di Osiride e suo figlio RE SCORPIONE

brano tratto da “DJOSER e i Libri di Thot”  di Maria Pace

Era la Signora del Primo Pilone dei Giardini di UsirChimera dalle ali inquiete, Sfinge dallo sguardo enigmatico, Aahit lo fronteggiò in tutta la sua divina bellezza: irresistibile, pericolosa e potente come il cobra eretto sulla fronte di un Faraone.

Djoser provò a distogliere lo sguardo, ma non ne fu capace: una forza superiore l’attirava verso di Lei. Occhi verdi di brace, labbra rosse e carnose, Aahit lo fissava scuotendo i lunghissimi, cespugliosi capelli legati sulla nuca e trattenuti da due ali dorate di avvoltoio: l’acconciatura delle Regine. Al contrario di quelle, però, in purissimo oro proveniente dalle cave del Sinai, le ali che ornavano la Dama di quel Pilone erano vibranti e palpitanti di vita e scuotevano l’aria, andando a congiungersi al centro della fronte, dove era incisa la figura di un piccolo scorpione.   Non si capiva se anche quello fosse vero o finto, ma, ogni qual volta la Dama corrugava la fronte, pareva agitarsi.

Aahit indossava una veste di pelle scura e aderente, una seconda pelle che faceva risaltare ogni angolazione, ogni curva, ogni sinuosità del suo corpo.

Djoser la fissò terrorizzato e affascinato, accecato dal bagliore del pettorale d’argento con le insegne da Combattente, mazza e pugnale, che assecondava la linea prorompente del suo seno. Vi era incisa anche la figura di uno scorpione circondato di fiamme; stessa incisione sulla larga cintura che le stringeva la vita ed a cui erano appesi catene e flagelli.

Djoser frugò febbrilmente, ma inutilmente, dentro la mente alla ricerca di formule sacre con cui placarne l’ira sdegnosa: la paura gli impediva di pensare e gli occhi seguivano atterriti il lento movimento del suo braccio destro armato di un pugnale dalla lama insanguinata.

Immobile, attese che la punta a testa di scorpione della lunga canna, che la Signora-del-Terrore gli puntava contro, gli penetrasse nel petto; alle sue spalle, le sagome prostrate al suolo dei due demoni, sembravano macchie scure spalmate sul pavimento.

“O Grande di Potenza, Signora della Distruzione.

O Dama dell’Orizzonte che lava i suoi coltelli,

io sono giunto qui munito di magia…”   le parole gli irruppero nel cervello con la violenza di un sasso lanciato con la fionda, ma non sortirono l’effetto che s’aspettava da loro: Aa-hit era sempre lì, minacciosa e determinata ad impedirgli l’accesso oltre quel Pilone.

Djoser conosceva bene la sua natura e la sua funzione: era una delle Madri-degli-Antichi che Osiride aveva messo a protezione dei confini dei suoi Giardini. Era terrorizzato. Le risorse del suo animo, diceva sempre il venerabile Hetpher, erano insospettabili e fu a quelle che si aggrappò in quel momento. Con accento di sfida sollevò il bastone che il Venerabile gli aveva messo nelle mani e con quello rintuzzò la canna della Dama del Pilastro.

Seguì un tuono: la risata della Dama. Riverberò intorno a lui, avviluppandolo in una spirale; il braccio ustionato ardeva di indicibile dolore e quando il bastone gli cadde di mano e finì per terra, il ragazzo si sentì perduto e si curvò in avanti.

L’ombra di Aahit piombò su di lui come una massa scura, ma un’altra ombra, più larga ancora e più scura, inghiottì la sua e quella della Dama; il ragazzo non osò nemmeno sollevare il capo.

Il suo sguardo, fisso al suolo, seguì la forma scura che andava delineandosi per terra, nitida e chiara.

La prima cosa che distinse fu la sagoma di una mano armata di hedy, mazza da combattimento degli antichi guerrieri, poi vide un gigantesco scorpione che gli fece fare un sobbalzo indietro.

“SeleK-Hor!” proruppe.

Davanti a lui c’era proprio l’ultimo Re della stirpe dei Seguaci-di-Horo, figlio di Ka-Hor e di Aahit, Signora di quel Pilone.

Djoser conosceva la sua storia. Selek era stato l’unico della stirpe a scampare all’eccidio della sua famiglia durante la dura lotta per il potere condotta da Ay, re del popolo dei Seguaci-di Sobek, contro suo padre. Selek doveva la sua salvezza unicamente al coraggio ed alla fedeltà di una guardia, che lo aveva allevato e preparato alla riscossa.

“Mi conosci?” domandò lo spettro del grande guerriero.

“Riconoscerei te, Selek, figlio di di Ka-Hor, e il tuo scorpione, anche in mezzo ad una folla di Divinità e di Spiriti Eletti.- rispose Djoser senza ardire di sollevare il capo, sopra il quale sentiva la potenza dello sguardo del SignoredegliScorpioni che lo costringeva a restare chino ed immobile – Nel Mondo-di-Sopra, gli uomini invocano ancora la tua protezione quando queste creature, di cui conosco bene l’attitudine a divorarsi perfino fra loro, diventano un pericolo.” proseguì coraggiosamente, accennando allo scorpione che continuava a fissarlo col suo terzo occhio: il più malvagio.

“E’ nella loro natura.” sentenziò quasi con indifferenza Selek.

“E’ una natura cattiva.” insisté il ragazzo, osando finalmente alzare lo sguardo su di lui e restandone folgorato dalla sorpresa: il volto di Selek, il Re-Scorpione, era identico a quello del principe Thaose.

“Per il Sacro Molare di Anubi! – esclamò tra sé – Una goccia d’acqua del Nilo non potrebbe assomigliare ad un’altra goccia, come questo volto assomiglia al volto del mio amico Thaose!”

Erano davvero identici. Stesso volto dagli energici contorni e stessa espressione ostinata e irrequieta, tipica della gente del Basso Delta. Anche lo sguardo era carico dello stesso ardore giovanile, ma le somiglianze finivano qui. I bagliori che emergevano dallo sguardo nero d’Africa dell’ultimo dei Re dei Seguaci di Horo, erano scintillanti ed inquietanti: da predatore. I capelli erano lunghi e raccolti sulla nuca, ammassati sulle possenti spalle. Erano ricci ed un po’ arruffati e gli sporgevano da sotto la larga fascia di cuoio legata intorno alla fronte. Il poderoso petto era nudo: solo un tatuaggio sulla spalla sinistra, seminascosto dalla fascia che reggeva l’inseparabile hedy, la mazza da combattimento: di pietra e con impugnatura di legno.

Erano proprio queste singolarità, si sorprese a pensare Djoser, a renderlo diverso dal suo amico Thaose che, in qualità di prete di Ptha, doveva esibire una testa completamente rasata, il pettorale da architetto di Ptha e la veste bianca; quanto allo sguardo, pur carico dello stesso ardore, quello del suo amico non era rapace né feroce come quello di Selek, ma edotto di grandi conoscenze.

 

Selek-Horo era assai prestante. Il fisico, forgiato dalle battaglie, era solido come roccia. Fasci muscolari guizzavano potenti e vigorosi sotto la pelle di bronzo-dorato, luccicante ai primi chiarori del giorno in arrivo. Sulla fronte non esibiva un urex, il cobra reale dei Re, ma uno scorpione d’oro.

“Il tuo arrivo era atteso.”

La voce dello Scorpione, gutturale e profonda, sorprese il ragazzo che fece un passo indietro, andando quasi ad inciampare nella massa scura spalmata per terra: il demone, che grugnì minaccioso, ma non si mosse.

“Il tuo arrivo era atteso.” ripeté lo spettro di Selek-Hor.

“Io non capisco, signore. Io…” tentò di replicare il ragazzo.

“L’Universo creato dal Supremo per uomini e Dei è un mondo meraviglioso ma fragile: – l’altro non lo lasciò finire – l’Infinita Tenebra che lo circonda minaccia di farlo retrocedere nell’Abisso Primordiale da cui è emerso. – il tono grave della voce e lo sguardo edotto di conoscenze antiche, turbarono l’animo di Djoser – Quando PthaAtum concesse il dominio del Mondo ad un Re mortale, pose anche Leggi inviolabili, che nessuno avrebbe potuto o dovuto mai violare. Nessuno. Nemmeno lo stesso Ptha-Atum, che è Dio e insieme tutte le cose venute e da venire. Quando apparve la Luce, Terra e Cielo furono separati, ma il frutto di quella separazione furono la Vita e le Leggi che la regolano.”

Djoser ascoltava a taceva.

“Il Supremo confidò a Thot i Segreti della Creazione e Thot li trascrisse perché non andassero perduti.”

Djoser continuava ad ascoltare in silenzio e si chiedeva perché mai il grande guerriero, l’ultimo sovrano dei Seguaci di Horo, fosse lì ad aspettarlo e perché mai gli stesse facendo quelle confidenze.

Quasi avesse letto dentro la sua mente, Selek-Hor gli mostrò una tavoletta che aveva in mano, completamente ricoperta di incisioni.

“Thot ha raccolto i segreti del Cielo e li ha nascosti nel seno della Terra. – disse in tono enigmatico – Questa tavoletta custodisce i segreti del mio Maestro Fonditore di Metalli.”

Lo sguardo di Djoser corse alla mazza da guerra e al pugnale infilato nella cintola, corto e dall’affilatissima lama a doppio taglio; ancora, però, non riusciva a comprendere la sua presenza laggiù.

Sapeva che le Conoscenze sulle Tecniche di estrazione e fusione dei metalli e sulla Pietra di Paragone per la comparazione dell’argento e dell’oro erano gelosamente custodite nella Fucina del Tempio di Ptha. Sapeva che erano state tramandate dai Seguaci-di-Horo, durante il Regno degli Dei e che erano costantemente rincorse dai preti di Ra. Sapeva anche che molti dei Fonditori del Tempio avrebbero sacrificato   qualche dito della mano per poter   dare solamente un’occhiata a quella mazza da guerra.

“La legge dell’Universo – tornò a sorprenderlo Selek – è la stessa per l’Uomo e per la Natura, poiché ogni sostanza viene dal seno di Geb. – e qui lo Scorpione ebbe una lunga esitazione – Possedere il controllo delle Leggi della Natura consente di possedere potere su questo Mondo e sul Mondo-di-Sopra.”

“E se qualche Demone, uomo o ombra malvagia – non riuscì a   trattenersi   dal replicare Djoser – riuscisse ad imbrogliare le Leggi della Natura?”

Selek-Hor ebbe un sorriso che gli distese la bella faccia, facendolo davvero somigliare al principe Thaose.

“La lotta fra il Bene e il Male sarà eterna! – sentenziò – Molte anime dannate hanno tentato di… imbrogliare, ah.ah.ah… – rise Lo Scorpione – la Natura, come dici tu, e continueranno a farlo. Il Male non trionferà, ma il Bene deve stare all’erta come il corvo sulla cima dell’albero quando protegge il nido.”

Sorrise ancora Selek e lo scorpione d’oro sulla sua fronte pareva muoversi al ritmo delle parole; pareva vivo. Naturalmente non era così, ma le due eliche che comparvero sulla spalla sinistra del grande guerriero, sgusciando da sotto la tunica corta e senza maniche, trattenuta da una piastra d’oro, quelle sì, appartenevano ad uno scorpione vivo.

Selek-Horo si gingillava con quello come con un passerotto. L’afferrò per la coda senza minimamente badare al veleno del pungiglione, poi lo depose per terra.

Il gesto fece scivolare in avanti la coda di toro che portava attaccata alla cintura, che gli sfiorò l’interno delle gambe, solide come i due Pilastri che reggevano il Cielo.

Djoser provò una strana sensazione nel guardare il poderoso torace del grande guerriero curvo davanti a lui. Lo scorpione, al suo fianco, chinò in avanti la testa e l’aculeo saettò minaccioso dal fondo della corazza; Djoser indietreggiò.

“Non temere. – lo rassicurò Selek rialzandosi – Non pungerebbe mai nessuno senza che io glielo ordinassi.”

Djoser continuò prudentemente ad indietreggiare, lo scorpione ad avanzare, nero e gigantesco. Terrore e fascino, erano i sentimenti che quella creatura d’aspetto alieno e inquietante esercitava sulle altre creature, compreso l’uomo e terrore e fascino subì il ragazzo, che continuava a fissarlo in silenzio.

“Il suo nome è Tefen.” disse   Selek-Hor.

“Tefen? – balbettò il ragazzo- Come il più cattivo degli scorpioni che accompagnarono Isis nel suo peregrinare.”

Tefen continuava ad avanzare; Djoser lo fissava preoccupato. Aveva già visto scorpioni in vita sua, di diversa dimensione e lunghezza, mai, però, qualcuno che sfiorasse nemmeno il pollice. Questo, invece, superava abbondantemente il cubito. Di loro conosceva le abitudini notturne, la sensibilità al freddo, l’uso a scavarsi tane sotto sassi e rocce e perfino l’attitudine a divorarsi tra loro. Creature sorprendenti, imprevedibili ed aggressive, ma Selek-Horo pareva avere il pieno controllo sul terrorizzante e gigantesco esemplare che gli camminava al fianco.

Con il braccio destro, Djoser gli vide tendere la mazza, quella con cui in battaglia aveva sbaragliato nemici ed assoggettato popolazioni.

Il mostro si fermò immediatamente.   I due parevano in simbiosi. Predatori entrambi, possedevano l’uno le caratteristiche dell’altro: pericolosità, temerarietà, potenza.

“Dicono di te, potente Sovrano, che sia stata Selkhet, Signora degli Scorpioni, a generarti e che…” esordì.

“No! Io l’ho generato… Io, Aa-hit, l’ultima Regina di Nekhen!” la voce tonante e sdegnosa di Aahit, alle sue spalle, gli fece accapponare la pelle, costringendolo a girarsi – Ah!… – il gemito della Dama del Terrore scosse l’aria come il riverbero di un tuono –   L’affidai a una culla di cannicci ed alla corrente del fiume prima che il sicario affondasse la sua lama nel mio petto.” aggiunse soffocando un grido di rabbia e dolore e scoprendosi il petto segnato da una cicatrice che pareva ancora aperta: rossa, sanguinante e dai bordi informi.

A quella vista lo Scorpione ebbe un violento scatto; gli occhi mandarono bagliori di un odio implacabile e la figura, eretta in tutta la sua possanza, giganteggiò sotto lo sguardo del ragazzo.

“Quando giunsi quaggiù, Osiride – riprese veemente Aa-hit – pose il mio Ka, furente ed assetato di vendetta, a sorvegliare il più esposto dei Sette Piloni che circondano i suoi Giardini. Nel Mondo-di-Sopra, mio figlio era ancora in balia di nemici ed avversari, inerme ed indifeso.”

“Oh no! – proruppe Djoser – Nè inerme, né indifeso: i Sacri Scorpioni di Selkhet si occuparono di lui nutrendolo e fortificandolo per le battaglie che lo attendevano.”

Selek ebbe uno strano, enigmatico sorriso; i suoi occhi rapaci cercarono lo sguardo di Djoser e il ragazzo si accorse che la sua mente si stava pian piano lasciando catturare e trasportare in un mondo di ombre e luci.

Comprese che il Re Scorpione gli stava permettendo di entrare nei suoi pensieri e la prima visione che gli inviò, chiara e nitida, era assai familiare: una culla di cannicci alla deriva delle acque e un uomo che l’attirava a riva. Le immagini che continuava a ricevere gli mostrarono le sembianze di quell’uomo: non più giovane, il petto unto d’olio, calamo e penna in mano. Era un prete. Certamente un prete e forse un prete di Thot.

Uno strappo e la sua mente si trovò nel punto più nascosto e custodito della memoria del grande Guerriero, l’ultimo dei Re della stirpe dei Seguaci di Horo. Il bambino era diventato un ragazzo e l’atmosfera in cui era immersa quell’immagine, era quanto di più misterioso ed occulto potesse aver creato la fantasia divina.

Djoser temette di trovarsi lì per sbaglio e che Selek-Hor lo ricacciasse fuori della sua mente.

Non solo ciò non avvenne, ma lo Scorpione gli permise addirittura di cogliere sensazioni intime custodite in quel limbo di profondo mistero.

Mano a mano che le immagini andavano formandosi nella mente di Selek, apparivano in quella del ragazzo. Come l’acqua di una clessidra che si versa da un’ampolla all’altra. Djoser vide Selek ragazzo impegnato ad apprendere l’arte della caccia e della guerra; lo vide perfino lanciare sassi dalle rive di uno stagno. La scena mutò ed egli vide un giovane curvo sopra un’incudine. L’aspetto era quello di un ragazzo dal fisico promettente per l’età matura. Intorno ai fianchi portava una pelle animale, leone o leopardo del deserto; gambe e busto recavano segni di artigli non del tutto rimarginati. Stava curvo su un picco di roccia adagiato trasversalmente per terra, che fungeva da supporto di lavoro. In mano reggeva una mazza da guerra su cui compariva il glifo di uno scorpione, mentre con la punta di un arnese di ossidiana, incideva una stella..

Non capì subito che posto fosse quello. Una grotta, certamente, rischiarata da torce appese alle pareti e dal fuoco di una fornace. Una rapida occhiata intorno e vide un’altra persona ferma alle sue spalle, un vecchio che seguiva con attenzione il suo lavoro. Poco discosti, vide altri due uomini che soffiavano sul fuoco della fornace; numerosi oggetti giacevano sparsi per terra o accostati alle pareti appena smussate.

Improvvisamente le fiamme del focolare l’abbagliarono; le vide sollevarsi minacciose e inghiottire una figura umana. Non comprese subito di chi fosse la straziante morte in mezzo a quelle fiamme, ma l’urlo trionfante che Selek-Hor gettò all’interno dei suoi pensieri lo cacciò fuori della sua mente.

“Distruggerò i tuoi nemici, Djoser, Coluicheescedalpapiro, con lo stesso fuoco che annientò il mio nemico, Ay-Sebek, Re della stirpe dei Seguaci-del-Coccodrillo!”

Djoser ebbe un fremito e si chinò a raccogliere il bastone, poi fece qualche passo in direzione del Pilone ed intanto pensava:

“Ho attraversato il Firmamento Liquido, spero di attraversare indenne il Portale di questo Pilone.”

“Non prima di aver osservato tutte le Leggi di questo Mondo.” Aahit parve aver letto nel suo pensiero, allora Djoser intonò:

Omaggio al Primo Pilone dell’Essere dal Cuore Immobile

Conosco il nome della Dama di Questo Pilone.

Signora della Distruzione, è il suo nome.”

Si fermò per riprender fiato; Aahit si chinò a raccogliere un lembo del lungo calasiris scuro e velato, simile alle grigie nebbie che si alzavano sul Delta prima dell’arrivo delle piogge.

Mi sono purificato nell’acqua in cui si purifica Ra

quando lascia la parte a Oriente del cielo.

Neirut è nome del Portiere di questo Pilastro e gli chiedo…”

“Tu mostri di non conoscere le Leggi che regolano questo Mondo. – tornò ad ammonirlo Aa-hit – Non si oltrepassano i Piloni di Osiride senza lasciare tributi.”

Un moto d’inquietudine colse Djoser: l’idea d’essere privato nuovamente del Ba, del Ren, della Shut o di qualcuna d’altra delle Entità che componevano il suo Essere, com’era accaduto durante

il primo viaggio d’Iniziazione, lo terrorizzava.

“La mia ombra-shut – cominciò – è sempre restia a separarsi da Djoser. Soltanto al calar delle Tenebra si allontana, ma torna con il ritorno della Luce, per riunirsi al corpo-djet. Anche il cuore-ib non si separa mai da Djoser. Se vi è un ritardo nel ricondurre a Djoser la sua Ombra..”

“Quieta l’ansia. – lo Scorpione arrestò quel fiume di parole – Nessuno, né Demone né Spirito Guardiano intende trattenere qui alcuna delle tue Anime e se davvero sei ben fornito di Magia, nessuno dei Guardiani dei LuoghiSegreti potrà nuocerti. Lascia su questo Portale il tuo tributo e prosegui nel tuo cammino.” – poiché Djoser continuava a mostrare stupore per quelle parole – La tua nemes può essere un adeguato tributo per oltrepassare questa barriera.- riprese il Re-Scorpione – Hai respinto il dono della mela per non restare qui per sempre, ma dovrai lasciare un dono, se vuoi varcare questa Soglia.”

Il ragazzo, che aveva finalmente capito, appoggiò il bastone al basamento di una delle due Torri che trattenevano il Portale del Pilone e con entrambe le mani si tolse la nemes rituale che il venerabile Hetpher gli aveva messo in testa e la depose ai piedi della Dama; la zazzera ricciuta, allungata rispetto all’ultima volta, gli spiovve sulla fronte, ma non gli impedì di vedere Aahit prendere il dono, chiudersi nell’ampio mantello e scomparire nelle tenebre alle sue spalle.

C’era armonia in quelle tenebre, adesso, e non incutevano più paura.

“Passa. – una voce piovve dall’alto come una saetta – Tu sei puro e possiedi la prima delle Sette Virtù: il Coraggio!”

Era la voce del Pilone; la macchia scura distesa a terra, il demone-portiere, si alzò per farlo passare e Djoser attraversò l’Occhio fiammeggiante di Ra.

 (continua)

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