I SOPRAVVISUTI di Gabriella De Arcangelis

CAPITOLO  24 °

 

Arrivati presso il misero cumulo di macerie che una volta avevano formato una delle astronavi più potenti, Leone e Lupo furono i primi ad avvicinarsi ai resti ancora leggermente fumanti.

Leone si chinò per vedere meglio quelle macerie, il figlio fece altrettanto.

Il gruppo si avvicinò a gruppetti, chiacchierando tra loro circa l’impossibilità di tirar fuori qualcosa di utile da quell’ammasso.

Lupo rese parole quei pensieri << Padre … è solo un enorme ammasso >>

<< Sotto, figlio, bisognerebbe vedere sotto … sono certo che sotto, qualcosa di utile potremmo vederlo. La Maxi si è come accartocciata su se stessa, custodendo e proteggendo il sotto >>

<< I raggi elevatori ? >>

<< No, servirebbero solo a spostare l’ammasso, come lo chiami tu … forse i raggi escavatori >>

<< Ma scavando, non potrebbero distruggere quell’eventuale poco mantenuto ?>>

<< Se diamo degli ordini precisi ai raggi … no, non li distruggerebbero >>

<< Allora proviamo … che ordini devo dare ? >>

<< Non puoi farlo solo tu, dovremo essere almeno in 4, ognuno da una parte, in modo di arrivare al nucleo che ci interessa … sarà più facile controllarlo >>

<< Giusto … Falco, Cigno, venite qua con i raggi escavatori >>

I quattro si sistemarono intorno all’ammasso e, al “via” dato da Leone, spararono i raggi al minimo della potenza.

<< Controllate dove il raggio scava … >> suggerì Leone << … e siate pronti a disattivarlo non appena comincerete a vedere qualcosa di solido non ammassato>>

Tutto cominciò e continuò in silenzio : silenzio il gruppo rimasto a guardare, silenzio i quattro al lavoro intorno ai resti, silenzio rotto soltanto dal leggero “zzzzz” dei raggi. Silenzio fino a quando Falco << Stop ! credo di aver intravisto qualcosa >> I raggi furono spenti e gli altri tre si avvicinarono a Falco.

Leone attivò il raggio illuminante << Eccolo ! eccolo il nucleo ! ragazzi ora il raggio elevatore al minimo della potenza … indirizzatelo dall’interno verso l’esterno >>

Di nuovo si percepì solo il “zzzzz” dei raggi. Il resto del gruppo si avvicinò piano, in completa assenza di rumore.

Pezzi di ammasso venivano spostati non solo con facilità, ma anche con una precisione millimetrica, fino a che non rimase che l’ammasso centrale.

<< Bene … adesso lavoro di cesello … con il raggio ossidrico, punta sottile … passate intorno come a formare piccole corone concentriche, così, vedete ? … piano, mi raccomando, non dobbiamo colpire il centro, ma solo gli strati periferici … bene, continuiamo ancora un po’… un po’ … un po’ … stop ! perfetto ragazzi … ora con gli elevatori spazziamo via il superfluo … perfetto … adesso i raggi analizzatori, puntateli e vediamo cosa ci risponde il display >>

Tutto il gruppo si era avvicinato e guardava interessato, aspettando l’esito, in silenzio. Quando i 4 display si illuminarono solo la voce di Cigno interruppe quel silenzio carico di attesa << Si vede qualcosa, nel mio si vede qualcosa ! >>

<< Eccolo lì il verme schifoso ! >> esclamò Leone << Ferma l’immagine Cigno, fermala ed ingrandiscila >> tutti guardarono e poi Lupo << E’ un “attira raggio”>>

<< Esatto figlio … un sofisticato aggeggio messo per attirare elettricità negativa, una volta immagazzinata, la respinge esplodendo … cavoli ! è messo proprio sotto la leva di atterraggio ! >>

<< Tutto programmato Leone … >> Kyra intervenne per la prima volta << … quella leva va azionata solo … solo ad atterraggio avvenuto, prima di spegnere il motore Leone … allora come mai la Maxi è esplosa qualche minuto dopo ? eravate scesi e con voi i bagagli >>

<< Giusta osservazione Kyra, ma … >>

<< … ma ? >>

<< … no, non è possibile … >>

<< Cosa non è possibile padre ? >>

Leone si coprì il volto con le mani scuotendo la testa << Che c’è Leone ? >> chiese con un po’ di ansia Kyra.

Leone si alzò, si fece largo, si guardò intorno << Dov’è ? dov’è Mino ? >>

Un altro del gruppo di Leone, Lauro, rispose << Non è venuto con noi, mi ha detto che proprio tu gli avevi chiesto di restare al campo base, che serviva un controllo e poi … >> << … e poi un cavolo ! è stato lui, è stato lui ! >>

Tutti si guardarono, Lupo si rivolse al padre << Leone, è stato lui a fare cosa ? >>

<< Quando ho acceso i razzi frenanti, mi ha chiesto di prendere lui i comandi – dammi questo onore Leone – mi ha detto – l’onore di far atterrare la Maxi su T/1 – quando sono sceso ho sentito che la Maxi ancora vibrava, ma … ero felice, emozionato … lui è stato l’ultimo a scendere e lo ha fatto correndo. La fortissima tuta ignifuga che sempre indossiamo in volo lo ha comunque protetto … sapendo cosa stava per accadere si è subito accucciato … non ci ho pensato, come potevo pensare che uno di noi … uno di noi … torniamo al campo, Mino pagherà, poteva ucciderci tutti … da chi ha ricevuto quest’ordine … >>

<< Padre … fermati >> Lupo bloccò Leone per un braccio << torniamo alla base, scoviamo Mino, ma calmati >>

<< Calmarmi ! ma ti rendi conto cosa mi stai chiedendo ? >>

<< Sì, di calmarti. Se Mino ha ricevuto ordini da chi pensiamo … pensiamo anche che possa essere monitorato … torniamo e facciamolo spogliare, esaminiamo la sua tuta >>

<< Giusto … >> intervenne Kyra << … potrebbe avere con sé un micro comunicatore >>

<< Se così fosse … Saggio sa che siamo vivi ! >> disse Leone sgranando gli occhi.

<< Non solo … >> si inserì Lupo << … ma è anche venuto a conoscenza dei nostri piani, Mino era presente alla riunione >>

Leone non ci pensò due volte, indossò i razzi di volo e si diresse verso il campo base, gli altri non poterono far altro che seguirlo.

Mino stava tranquillamente parlando con Cleto proprio al centro dello slargo intorno al quale tende e alloggi riprodotti formavano un cerchio.

Leone atterrò per primo, andò verso Mino, con una mano lo attirò per lo scollo della tuta, con l’altra gli sferrò un pugno. Immediatamente atterrato dopo di lui, Lupo bloccò suo padre, mentre Mino, in terra, guardava i sui compagni che, a loro volta erano atterrati, con occhi interrogativi. Poi si rivolse a Leone.

<< Ma che ti prende ? sei impazzito ? predichi la calma, predichi di non essere mai volenti e poi … >>

<< Lurido traditore ! quanto ti ha pagato, eh ? oppure cosa ti ha promesso ? >>

<< Ma chi ? cosa ? cosa stai dicendo ? >>

Cleto intervenne in aiuto di Lupo, quando Leone stava per colpire di nuovo Mino

<< Siamo andati a controllare l’astronave e abbiamo capito. Inutile che tu faccia finta di non sapere. Ci hai tradito tutti ! tutti ! spogliati ! qui e subito ! >>

Intanto la gente del campo, allertata da quelle grida, si avvicinò facendo circolo attorno a quella scena. Perla era subito accorsa, pensando ad un ennesima lite tra padre e figlio e lo disse a Kyra che la rassicurò, ma le raccontò quanto avessero scoperto.

Mino si guardava intorno, non vedeva vie di fuga. Spaventato dall’atteggiamento non solo di Leone, ma di tutti i suoi compagni << Ma che avete tutti ? mi volete spiegare ? >> << Non ci sono spiegazioni da dare da parte dei tuoi compagni Mino>> riprese  Leone << Sei tu che ci devi delle spiegazioni ed anche valide, ma prima ti spogli >> << Ma Leone ragiona … >> << No ! non ragiono ! e ringrazia Lupo e Cleto che mi stanno tenendo altrimenti saresti già un ex-Mino ! >>

ancora più impaurito, Mino cominciò a togliersi la tuta.

<< Ma perché mi chiedi di spogliarmi ? cosa pensi che io abbia sotto la tuta ? >>

<< Spogliatiii !!! >>

In breve Mino rimase lì, davanti a tutti, nudo come un verme.

<< Falco, raccogli gli indumenti e controllali attentamente >> ordinò Leone.

Falco eseguì immediatamente, ma non trovò nulla. Lo disse agli altri scuotendo la testa. Poi Leone << Tienigli le mani indietro e tienile ben salde Falco >>

Cercò di divincolarsi dalla morsa di Lupo e Cleto, ma non riuscendoci, chiese a Cigno.

<< Cigno … scuotigli la testa >>

Cigno obbedì e dalla testa cadde quello che Leone cercava.

A quel punto Leone divenne una furia scatenata e fu necessario che altri lo tenessero, sarebbe stato in grado di uccidere Mino.

Resosi conto che la forza bruta era un’esternazione che sempre aveva aborrito, cercò di calmarsi << Perché ? perché Mino ? ti rendi conto in che situazione hai messo tutti noi ? Saggio ora sa che siamo vivi, sa del nostro piano, sa … >>

<< … non sa niente Leone, niente. E’ vero … è lui che me lo ha messo, mi ha pagato, sì è vero, molto, mi ha pagato molto … ma … io non l’ho attivato, puoi constatare da te, non l’ho fatto >>

<< Posso vedere che ORA è disattivo, non posso sapere se lo era anche prima, ieri, prima di ieri … hai azionato il particolare detonatore messo sotto la leva di atterraggio, ecco perché hai voluto tu i comandi alla fine, ecco perché sei sceso per ultimo, ecco perché correvi, perché sapevi >>

<< Quello l’ho dovuto fare Leone, ma ho voluto pilotare io perché tu non lo sapevi. Come avresti toccato terra, avresti spento i razzi e la Maxi sarebbe esplosa subito … ho preso tempo, il tempo che vi allontanaste quanto bastava … forse qualche bruciatura, ma niente di più. In quel momento … in quella confusione l’ho disattivato … puoi vedere da te, puoi attivare la registrazione e vedrai che è vuoto>>

<< Se così è, e bada che non ti credo, perché lo hai continuato a tenere in testa ? perché non te ne sei disfatto ? >>

<< Lo vedi questo rivolo di sangue Leone ? lo vedi ? dal naso mi esce per il tuo pugno, ma da qui ? dalla testa ? perché mi scende anche dalla testa ? me l’ha arpionato ! capisci ? arpionato ! >>

<< Cigno ti ha solo scosso la testa, non te l’ha toccata. Come ha fatto a cadere se era arpionato ? >>

<< Quello è stato merito tuo. Il tuo pugno mi ha preso alla sprovvista, sono caduto … ho sentito che si stava staccando, non hai notato il sangue che scendeva anche prima che Cigno mi scuotesse ? >>

<< Sì, apposta gli ho chiesto di farlo … Kyra raccoglilo e passalo ai raggi analizzatori>>

Kyra fece quanto richiestole. Tutti aspettavano l’esito del display. Lupo e Cleto non lasciarono Leone anche se sembrava essersi calmato.

Dopo qualche istante il led del display segnalò verde. Kyra diede il raggio analizzatore a Leone << Vuoi vedere tu ? >>

Anche se con apprensione, Lupo e Cleto lasciarono Leone, l’uomo prese l’analizzatore dalle mani di Kyra, pigiò il tasto ed il responso apparve : Vuoto – memoria vuota – pregresso vuoto – data di disattivazione : da 5 giorni ad oggi.

Leone perse tutte le forze, si lasciò andare in terra in ginocchio, il display gli scivolò dalle mani. Lupo lo raccolse e lesse, passando poi il raggio analizzatore a Falco e, da Falco, di mano in mano, tutti appresero la terminale innocenza di Mino. Ma non l’inziale : lui aveva accettato di tradire, salvo poi ripensarci, per fortuna, in tempo. In tempo per non averlo fatto, in tempo perché tutti fossero salvi. Una voce distrutta, ma forte e sicura, la voce di Leone.

<< Non hai attuato quanto ti era stato richiesto Mino, gli analizzatori non sbagliano né possono essere manovrati, sono particolarmente schermati per questo. Ne prendo atto … ma ciò non toglie quello che poteva essere, anche se non è stato. Ciò non toglie che non avrai più, e sottolineo PIU’ la mia fiducia. Per questo chiedo il giudizio del gruppo circa la tua sorte e a quello mi atterrò. In attesa del responso chiedo a te, Falco, di mettere sotto sorveglianza Mino. Usa i razzi laser, in modo che lo stesso non abbia alcuna possibilità di fuga. >>

Faticando come se dovesse risollevarsi dagli inferi, Leone si alzò e si diresse alla sua tenda, respingendo gli aiuti sia di Lupo che di Perla.

I terranauti si sciolsero parlottando a gruppetti sull’accaduto e tornando ai propri lavori.

Dopo una decina di minuti, sullo slargo, rimasero solo Cleto, Lana, Kalen, Falco, Lupo e Kyra. Cleto prese la parola per tutti.

<< Ragazzi … possiamo in qualche modo esservi di aiuto ? disponete pure di noi … ritengo di parlare a nome di tutti, concordate ? >>

Gli altri capi assentirono fortemente convinti, Lana aggiunse.

<< Non sappiamo cosa dica la vostra legge in merito … la nostra per tradimento è … espulsione dal gruppo >>

Fu Kyra a prendere la parola << Grazie per stringervi intorno a noi, grazie veramente. Ritengo anche io di poter parlare a nome di tutti … penso che l’aiuto migliore che potete darci è quello di continuare ad impegnarvi nei propri incarichi come se nulla fosse accaduto. Lo so, qualcosa è accaduto ed è anche grave, ma … sarà il gruppo a giudicarlo ed il responso sarà accettato da tutti noi, qualunque esso sia … per inciso Lana, anche la nostra legge prevede l’espulsione. Lupo, raggiungo Perla >>

Perla era nella gande tenda, seduta al tavolo stava consultando il suo tabloid palmare.

<< Perla … >>

<< Kyra, vieni, stavo guardando abiti … ne ho già riprodotti diversi, ma vorrei diversificarli, non mi piace molto l’idea della “divisa”. Puoi consigliarmi anche tu?>>

<< Invidio la tua forza Perla … io sono molto scossa dall’accaduto, non riesco a pensare ad altro >>

Perla la guardò con tenerezza << Vieni qui Kyra, siediti accanto a me … ho saputo che la gente di Cleto, ma ritengo anche gli altri, chiamano questo il tavolo sospeso, oppure le poltrone sospese … simpatico il modo >>

<< Non sanno capire come facciano a sorreggersi senza zampe o sostegni >>

<< Pensi davvero che io sia forte ? è proprio perché non lo sono che ho deciso di impegnare subito la mia mente. Leone, in questo momento, gradisce rimanere solo … poi mi hai assegnato un compito, no ? >>

<< Qual è il tuo punto di vista in merito ? >>

<< In merito al compito ? >>

<< No … in merito a Mino … al tradimento >>

<< Mino non è il primo a tradire la fiducia di chi credeva in lui, non è il primo e non sarà l’ultimo. Mi dispiace soprattutto per Leone, lui sì che credeva in Mino, nonostante … io no. Glielo avevo anche detto, Mino non mi convinceva. Non c’era un perché, non mi convinceva e basta … Leone mi ha anche preso in giro – tu e le tue sensazioni – mi ha risposto >>

<< Veramente non avevi motivo di dubitare di lui ? >>

<< Veramente, simpatico, sempre allegro, sempre disponibile … eppure non mi piaceva. Comunque … l’importante è che Saggio non sappia nulla di noi e soprattutto non ci sia accaduto nulla … il resto si vedrà >>

 

LABORATORIO DIDATTICO – Inquinamento dell’aria

PROGETTO DIDATTICO   con il supporto del libro storico-ambientalee

“L’Età perduta” storico-ambientale  di Maria PACE

 

INQUINAMENTO

Smog: sono svariate le cause che provocano questo tipo di inquinamento: il concentrarsi delle attività umane, l’emissione nell’atmosfera di sostanze chimiche dal traffico, impianti di riscaldamento, ecc..

Quedti inquinamenti primari possoell’edi subire processi di trasformazione (ossidazione, deposizione di acidi) ed innescare una serie di reazioni foto-chiniche ( doprattutto in estate  che possono portare alla diminuzione dell’ozono, il quale se è benefico nell’atmosfera, è  nocivò nei bassi strati.

Piombo:      le prticelledi piombo emesse nell’aria sono assai nocive per l’uomo. Sappiamo che il piombo è già presente nell’aria in minime quantità, ma l’uomo lo assume direttamente da attività industriali, vernici al piombo, veicoli a benzina, ecc.

INDIRETTSMENTE da frutta e verdura contaminata, come quela coltivata lungo le utostrade oppure esposta nei luoghi di grande trafico.

DIRETTSMRNTE da attività industriali, vernici a piombo,veicoli di benzin

NOTA:  è più facile portar via grosse quantità di piombo che piccole e sono più pericolosi i quantitativi un po’ più lontano dalle autostrade che non quelli delle immediste vicinanze.

Amianto:        uno di materiali più nocivi per lasalute dell’uomo. usato nell’edilizia (pareti prefabbricate, cementi, ecc) questo materiale ha rilevato la sua tossicità solo dopo un periodo relativamente lungo, qusndo cioè gli effetti erano già imaccettabili.   Per l’estrszopne basta citare l’esempio della cavs on Piemonte a  Balangera,dove un’altissima percentusle di lavoratori si ammalò di cancro. La cava fu chiusa

agli inizi degli anni novanta.

IL  NUCLEARE   Le radiazioni si misurano in  REM.  Vi sono radiazioni naturali provenienti dal cormo e dall’atmosfera e l’uomo riesce ad assorbirne una certa percentuale senza rischio.  Riguardo, però, le adiazioni artificiali causate dall’uomo, il discorso cambia.  Si calcola che in un anno noi ne assorbiamo intorno ai 70 dal suolo inquinato, 40 circa da radiografie, altre 10 da vicinanza a centrali nucleari, e altre 10 da vicinanza al carbone, La massima tolleranza dell’uomo è di 100m REM.

nota:a  negli anni 50,  subito seguitoi alla seconda guerra mondiale, la pericolositàdellle  radiazioni fu sottovalutata. Episodi di gravi inquinamento furono quelli avvenuti in Giappone, a Chernobyl, e da non dmenticare neppure la fuga di radiazioni avvenuta in Italia a Seveso.

 

I FENICI – IL POPOLO della PORPORA … di Maria Pace


“IL  LIBANO  –  TERRA DEI FENICI…    LA  PORPORA  “di  MARIA  PACE

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Terra dei Fenici! E subito nell’immaginario collettivo appaiono svelte navi nere dall’immensa vela quadrata,  lunghe fino a 30 metri e molto larghe, timone  a poppa,  atte al trasporto di grossi carichi di merce.  Navi  dalle estremita’ ricurve,  spinte dalla forza del vento e, in sua mancanza,  da quella dei remi; navi  che potevano trasportare fino a 150 tonnellate di merci,

Un altro colore, però, stregò questo popolo: il rosso-porpora.
Fenicia! Terra della Porpora.
Ma come nacque questa meraviglia che stregò anche i popoli di tutto il mondo? Sono numerose le leggende sorte intorno all’origine di questa scoperta.
Una romantica leggenda racconta di Melkart, Dio e fondatore della città di Tiro e corteggiatore sfortunato di una bella ninfa di nome Tiro. Durante una passeggiata lungo la spiaggia, la bella fanciulla rimase affascinata dal colore che un piccolo mollusco sprigionava dal proprio guscio. Al divino innamorato promise le sue grazie, se egli le avesse fatto dono di una veste di quel colore. Inutile dire che Merlkart la accontentò subito

Meno romantica  un’altra leggenda  secondo cui  anche il  cane di Merlkart si imbatté, durante una passeggiata sulla spiaggia, in un murice;  il cane la ingoiò, colorandosi   il pelo di un meraviglioso  rosso brillante.

Un’altra storia, narrata, nella letteratura apocrifa del Vecchio Testamento, è ambientata, invece, ai tempi in cui Hiram era re di Tiro: ancora un cane, che correndo lungo una spiaggia, trova un mollusco gettato a riva dalle onde; il cane lo addenta ed il suo naso si macchia con il succo del mollusco. Un pastore, lì vicino, con un pezzo di stoffa asciuga il naso del cane e siccome quella tinta gli piace molto, ripiega la striscia di stoffa e se l’avvolge intorno al capo, attirando l’attenzione di tutti. Attira anche quella di re Hiram che lo manda a chiamare. Alla vista di quello splendore, re Hiram incarica i suoi tintori di cercare il mollusco in grado di produrre quella meraviglia.
Quale era quel mollusco?

Si trattava di un gasteropode del genere Murex che possedeva una ghiandola contenete un liquido biancastro il quale, per effetto del sole prima acquista un colore giallo pallido, poi verde, poi blu e infine assume l’impareggiabile color porpora.
Ma come si arrivava al pigmento per tingere le stoffe? Le modalità di lavorazione erano le seguenti. Dopo aver pescato i molluschi, questi venivano messi in ampie vasche; le conchiglie che ricoprivano i molluschi venivano rotte e lasciate a macere. Il pigmento si otteneva proprio durante il periodo di macerazione . A questo punto si diluiva il colore con acqua di mare, a seconda dell’intensità della gradazione desiderata, dal rosso cupo al violetto.
Di questa sostanza, i Fenici ne fecero la voce più importante dei loro traffici, commerci e della loro industria.
Perfino il loro nome trae origine dalla importanza assunta da questa sostanza: Canaan, infatti, il nome con cui la Bibbia indica il territorio, significa “Terra della porpora” e il termine Fenice, trae origine dal greco ”phoinos”, che significa sangue rosso,

Le tonalità dell porpora erano assai varie, la più ricercata, però, soprattutto dai Romani, era la hyacinthina prodotta a Tiro. Era detta anche Porpora imperiale, perché era quella usata da uomini di potere ed assurta a simbolo di potere e ricchezza per molti secoli.

Le città di Tiro e Sidone divennero i due centri di maggior di grande importanza lungo le coste libanesi, ma molti altri centri sorsero sulle coste nord Africane e nelle colonie
spagnole. I centri di lavorazione della tintura, infatti, sorgevano tutti vicino al mare, perché il mollusco doveva avere ancora la ghiandola piena di liquido; lo testimonia la presenza, nelle vicinanze di questi centri, di vere e proprie colline formate dagli strati dei gusci dei molluschi. Piccole montagne, poiché ogni murice (nome del mollusco) poteva fornire solo poche piccole gocce della preziosissima sostanza; ne consegue che occorrevano miliardi di molluschi per soddisfare il fabbisogno di quella speciale materia prima.

I Murici divennero presto assai rari, tanto da soddisfare solo le richieste di Re e Papi oltre alle pergamene di preziosi codici. Costituiva, però un’attività che impegnava davvero gran parte della popolazione nelle varie fasi della produzione e de lavoro necessario per ottenere quei meravigliosi tessuti rosso-porpora.

Dai racconti di Plinio il Vecchio, a seguito di un viaggio in Giudea e di una visita ad un
laboratorio di tintura con la porpora, possiamo ricostruire le varie fasi della lavorazione.

La raccolta veniva effettuata con il mare tranquillo e si fermava solo durante i periodi di tempesta. Si raccoglievano i muscoli più grossi e si estraevano le ghiandole, poi si trituravano i gusci che si mettevano a macerare in acqua e sale per qualche giorno; dopo di che, si sciacquavano e si mettevano in acqua calda, mantenuta ad una temperatura costante grazie all’emissione di vapore attraverso un tubo collegato ad un forno vicino; e si lasciavano “cuocere” lentamente per una decina di giorno, permettendo il distacco del tessuto muscolare dalle ghiandole. Quello che si otteneva era un maleodorante liquido verdastro, pieno di residui organici decomposti da togliere.
A questo punto si facevano le prime prove di tintura su campioni di stoffa che venivano immersi nel bagno di tintura così ottenuto ed esposti al sole e si continuava così fino a quando non si otteneva la gradazione di colore desiderata.
Plinio dice anche che si ottenevano più sfumature mescolando diversi tipi di Murice e
aggiunge che, il colore della famosa Porpora di Tiro, ottenuto con una duplice tintura,
fosse stato il risultato della correzione di una tintura mal riuscita.

I vari processi di lavorazione rendevano proibitivo il costo di queste stoffe o anche la semplice decorazione di stoffe eppure, la
richiesta era enorme: indossare la Porpora, era segno esteriore di distinzione e dignità regale, sociale e sacerdotale.
Un fascino ed un coinvolgimento emotivo che catturò e incantò il mondo intero. Catturò ed incantò i Romani che ne fecero un decalogo.
Interamente purpurea era la toga del generale vincitore che sfilava il giorno del suo trionfo; ai Senatori era concessa una larga balza ai bordi delle tuniche e più stretta, invece, quella concessa agli appartenenti all’Ordo Equester… ornamenti anche per consoli, sacerdoti, ecc… Ma furono le donne a lasciarsi stregare da questo colore, al punto da spingere i legislatori ad emettere decreti che ne regolassero l’uso.
Rosso purpureo… un fascino che cattura ancora oggi.

“IL MIO LIBANO” di Simonetta Angelo-Comneno

II – Il mio Libano

 

 

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Rivado con la mente alle gite che si facevano negli anni sessanta e settanta. Si lasciava Beirut e costeggiando il mare a sinistra ci si dirigeva verso il Nord. A destra gli aranceti ci accompagnavano fino a Jounieh, un piccolo e adorabile villaggio di pescatori con case in arenaria gialla e tetti rossi, posto al centro di una splendida e verde baia. Al di là della baia, a ridosso di una brulla e rocciosa collina, sorgeva il Casino du Liban, vasta e moderna costruzione con molte sale da gioco e una sala per gli spettacoli. Quando la guerra civile è scoppiata nel 1975, molti libanesi hanno cercato rifugio proprio a Jounieh, accontentandosi all’inizio di trovare rifugio nei Conventi, ospitalità di cui anche io ho approfittato, e poi chez l’habitant, accontentandosi cioè di stanze presso gli abitanti del luogo. A poco a poco sono sorte nuove costruzioni per ospitare tutti quelli che cercavano un angolo tranquillo e durante quei lunghi quindici anni di guerra a un po’ per volta sono spariti gli aranceti, poi le ville con i giardini, infine le vecchie e belle case libanesi per fare posto a palazzi e negozi vari. Ormai quei venticinque chilometri che separavano Beirut da Jounieh non formano che una immensa città che non solo ha riempito la stretta costa ma che si è anche arrampicata sui pendii delle montagne lasciando uno sparuto ciuffetto di verde proprio lassù in cima.
Ogni anno vado a passare due mesi in Libano, in genere in inverno, ed ogni anno trovo qualcosa di nuovo: nuove costruzioni ( e sono quelle che io chiamo “costruzioni selvagge” perché chiunque possegga o compri un lotto di terreno edificabile vi costruisce un palazzo, lussuoso naturalmente, di quindici, venti piani. In genere c’è un solo appartamento per piano, di dimensioni quasi modeste che vanno dai 250 ai 700 metri quadrati) e nuovi megalattici centri commerciali. Anche il Libano da molti anni patisce per una crisi economica intermittente, causata dall’alternarsi di tranquillità e di violenti scontri armati tra le varie fazioni, che mette in ginocchio il commercio; ciò non impedisce però a chi detiene la ricchezza, e non sono molti, di costruire e costruire ancora a beneficio di loro stessi.
Mi sembra di non riuscire più a ritrovare quelli che erano i miei punti di riferimento, a chiedermi dove sia andata a finire quella via che ho percorso centinaia di volte, dove si trovi la piazza che era il cuore della città …Chiedo al tassista, un giovanottello di una ventina d’anni o poco più, nato sicuramente dopo la fine della guerra, di accompagnarmi al Bouj. “E che cos’è il Burj?” mi risponde. “Il Burj ovvero Place des Canons ovvero Place des Martyres”, ne ha avuti di nomi questa piazza che era il cuore della vita di Beirut, cerco di spiegarglielo. “Non la conosco”, risponde.
Annaspo, cerco di spiegarmi meglio citando luoghi vicini : “Alla fine di Rue de Damas, vicino al Centro Lazarié..”, “Ah, ho capito, lei vuol dire l’Esplanade…” e mi porta in una enorme spianata circondata da palazzi e intersecata da strade. Scendo lì, perché voglio cercarmeli da me i luoghi che conoscevo e che forse sono spariti per sempre.
Benchè Beirut fosse una città prevalentemente moderna, il suo centro conservava un cachet orientale. Là si trovavano i vari souk, quelli alimentari delle verdure, della carne, del pesce, dei cereali e delle spezie , e quelli più attinenti la vita sociale come il souk dei gioiellieri, il souk Nouriyé dei vetri, il souk Soursock delle stoffe…Immaginate una grande piazza rettangolare e mettetevi con le spalle a sud, sul lato corto; davanti a voi, a nord, c’è il palazzo Rivoli con il suo cinema-teatro a pianterreno e sopra i piani adibiti ad uffici. Al di là del Rivoli si scorge il mare. Tra voi e il Rivoli , al centro della piazza, vi è un giardino nel centro del quale sorge il monumento ai Martiri Libanesi ( uno dei nomi della piazza, Places des Martyres, ricorda quei libanesi fucilati dagli ottomani durante il loro dominio in Medio Oriente. Precedentemente in questa piazza vi sorgeva una torre, bourj, con orologio che aveva dato alla piazza il nome Sahat al-Bourj, piazza della Torre, nome che nel 1860 cambiò in Place des Canons quando i Francesi vi istallarono dei cannoni là dove un tempo, cioè nel 1773, i Russi avevano piazzato i loro.) Si potrebbe pensare che i vari nomi di questa piazza potessero generare una grande confusione; in realtà ciò non ha mai disturbato i beirutini che la nominavano indifferentemente in un modo o nell’altro. Certo non ci si può aspettare che la nuova generazione, che non l’ha mai conosciuta, possa identificarla in un qualche modo. Torniamo alla piazza. Alla nostra destra si trovava la Rue Gouraud con le sue case tradizionali a due piani; al di là dell’imboccatura della via c’era una fila di palazzi di due o tre piani con negozi sulla strada, poi veniva una strada stretta da tutti conosciuta come la via delle prostitute, proprio perché vi si trovavano parecchi bordelli, palazzine basse con le imposte verdi e insegne che declamavano le doti delle varie Marika, Blanche, Halima e Fatima. Ricordo che quando noi donne passavamo lì davanti dovevamo tenere pudicamente gli occhi a terra o fissi davanti a noi per non mostrare curiosità o conoscenza di quel mondo. In verità io ho sicuramente dovuto sbirciare più di una volta altrimenti non ricorderei quelle insegne. Poi c’era la sede della Polizia Municipale, poi un altro palazzo e infine la Rue el Arz che portava al porto di Beirut. Dall’altro lato della piazza, a sinistra, si apriva la Rue Emir Bechir. Il Hawet-el-Zeiss, cioè il caffè a vetri, faceva angolo tra la rue Emir Bechir e la piazza. Quel locale era uno dei tanti locali per soli uomini sparsi nella città; tre di questi erano i più conosciuti, il primo si trovava appunto nella piazza dei martiri, il secondo sulla Rue Gemmayzè, lì vicino, e il terzo sul lungomare, non lontano dal quartiere Zeitounè dove si trovavano i più belli e famosi cabaret libanesi. Si chiamava caffè a vetri proprio perché aveva delle grandi vetrate su tutti i lati attraverso le quali gli uomini che vi si recavano per passare il tempo a bere caffè, fumare il narghilè o giocare a tric-trac, potevano osservare la vita che si svolgeva al di fuori. Dopo Hawet-el-Zeiss, su strada si trovava tutta una serie di locali commerciali: una sartoria dove si potevano far fare su misura i famosi cherwal, tipici pantaloni dei montanari libanesi, poi il fabbricante di fez, il negozio di dolci orientali, il souk dei gioiellieri e di nuovo negozi di dolci, infine si arrivava alla bella ed elegante Rue Weygand con il suo splendido palazzo del Municipio e laggiù in fondo Bab Edriss con il souk Franjé e il mercato dei fiori.
Mi ritrovo sperduta davanti a questa spianata; ho sognato ad occhi aperti un luogo che non esiste più. Perdono adesso l’ignoranza del mio tassista, come poteva sapere dove fosse una piazza che vive solo nel ricordo di chi ha ben più dei suoi vent’anni? Davanti a me, dove prima c’era il Rivoli l’asfalto della strada costiera ha coperto una parte del mare che ora non è più ostruito dalle costruzioni. Ma il resto dov’è finito? Fatico a capire che là, a sinistra, dove prima c’era l’Hawet-el-Zeiss, ora sorge la maestosa moschea dalla cupola blu voluta dal ministro Rafik Hariri, il primo ministro sunnita assassinato il 14 febbraio 2005 insieme a 21 altre persone da un’autobomba che oltre alle vittime ha distrutto in parte il famoso vecchio Hotel Saint-Georges che era stato appena ristrutturato dopo i gravi danni subiti durante la guerra civile. Spariti i negozi di dolci orientali, spariti i souk. Al loro posto un bel palazzo di quattro piani in stile orientale mai visto prima; forse è opera di un’accurata ristrutturazione di una fatiscente costruzione del XIX secolo che le numerose insegne occultava ai nostri occhi. Il palazzo rossastro del VIRGIN riempie lo spazio fino alla Rue Weygand; grazie a Dio quella esiste ancora. E a destra? A una larghezza doppia, forse tripla, di quella della vecchia piazza, vedo una serie di bei palazzi rosso mattone, giallo ocra, rosa antico dalla facciata orientaleggiante e i balconi in legno traforato. Ma dove erano prima quei palazzi mai notati ? nascosti da quelli che la guerra ha distrutto? Non lo so ma mi sembra di essere su un set cinematografico dove ci si appresta a girare un film di spionaggio in Medio Oriente, E la stessa impressione la ritrovo alla Rue Marad, una bella e larga via lunga forse due, trecento metri, sotto i cui portici c’erano negozi di scarpe, di abbigliamento, di granaglie e di spezie. Oggi per un istante mi è sembrato di percorrere la Rue de Rivoli a Parigi. Tutto sembra nuovo e tirato a lucido, eppure si tratta dei palazzi che esistevano anche prima, no anzi vi è stato aggiunto un secondo piano ma lo stile è quello anche se un po’ più pieno di stucchi e volute.
Per i turisti che ci vengono per la prima volta, Beirut apparirà come una bella città moderna con un tocco di orientale, dove è possibile sciare sulle alture di Faraya o più a Nord, ai Cedri di Becharré, e magari poi scendere sulla costa per andare a nuotare in uno dei numerosi stabilimenti balneari sparsi sulla costa. Una città dove si può passeggiare sul lungomare per ammirare le centinaia e centinaia di lussuosissimi yacht ancorati, sedersi in uno degli innumerevoli café-trottoir a sorseggiare un aperitivo prima di cena, e magari andare in uno dei numerosi night club per assistere a una danza del ventre o ballare al suono di un’orchestra con un cantante magari italiano o spagnolo.
Eppure Beirut non è solo divertimento.

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“IL  LIBANO  –  TERRA DEI FENICI…    LA  PORPORA  “di  MARIA  PACE

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Terra dei Fenici! E subito nell’immaginario collettivo appaiono svelte navi nere dall’immensa vela quadrata. Un altro colore, però, stregò questo popolo: il rosso-porpora.
Fenicia! Terra della Porpora.
Ma come nacque questa meraviglia che stregò anche i popoli di tutto il mondo? Sono numerose le leggende sorte intorno all’origine di questa scoperta.
Una romantica leggenda racconta di Melkart, Dio e fondatore della città di Tiro e corteggiatore sfortunato di una bella ninfa di nome Tiro. Durante una passeggiata lungo la spiaggia, la bella fanciulla rimase affascinata dal colore che un piccolo mollusco sprigionava dal proprio guscio. Al divino innamorato promise le sue grazie, se egli le avesse fatto dono di una veste di quel colore. Inutile dire che Merlkart la accontentò subito.
Meno romantica è un’altra leggenda, raccontata 500 anni dopo Cristo dallo storico Flavio Magno Cassiodoro.

Ma come si arrivava al pigment Cassiodoro,o per tingere le stoffe? Le modalità di lavorazione erano le seguenti. Dopo avere pescato i molluschi, forse con nasse, questi venivano messi in ampie vasche; infrante le conchiglie che ricoprivano i molluschi, essi subivano in processo di macerazione, durante il quale si otteneva il pigmento. A questo punto si diluiva il colore con acqua di mare, a seconda dell’intensità della gradazione desiderata, dal rosso cupo al violetto

Un’altra storia, narrata, nella letteratura apocrifa del Vecchio Testamento, è ambientata, invece, ai tempi in cui Hiram era re di Tiro: ancora un cane, che correndo lungo una spiaggia, trova un mollusco gettato a riva dalle onde; il cane lo addenta ed il suo naso si macchia con il succo del mollusco. Un pastore, lì vicino, con un pezzo di stoffa asciuga il naso del cane e siccome quella tinta gli piace molto, ripiega la striscia di stoffa e se l’avvolge intorno al capo, attirando l’attenzione di tutti. Attira anche quella di re Hiram che lo manda a chiamare. Alla vista di quello splendore, re Hiram incarica i suoi tintori di cercare il mollusco ingrado di produrre quella meraviglia.
Quale era quel mollusco? Si trattava di un gasteropode del genere Murex che possedeva una ghiandola contenete un liquido biancastro il quale, per effetto del sole prima acquista un colore giallo pallido, poi verde, poi blu e infine assume l’impareggiabile color porpora.
Ma come si arrivava al pigmentto per tingere le stoffe? Le modalità di lavorazione erano le seguenti. Dopo aver pescato i molluschi, fquesti venivano messi in ampie vasche; le conchiglie che ricoprivano i molluschi venivano rortte e lasciate a macere. Il pigmento si otteneva proprio durante il periodo di macerazione . A questo punto si diluiva il colore con acqua di mare, a seconda dell’intensità della gradazione desiderata, dal rosso cupo al violetto.
Di questa sostanza, i Fenici ne fecero la voce più importante dei loro trafficci, commerci e della loro industria.
Perfino il loro nome trae origine dalla importanza assunta da questa sostanza: Canaan, infatti, il nome con cui la Bibbia indica il territorio, significa “Terra della porpora” e il termine Fenice, trae origine dal greco ”phoinos”, che significa sangue rosso,

Le tonalità dell porpora erano assai varie, la più ricercata, però, soprattutto dai Romani, era la hyacinthina prodotta a Tiro. Era detta anche Porpora imperiale, perché era quella usata da uomini di potere ed assurta a simbolo di potere e ricchezza per molti secoli.

Le città di Tiro e Sidone divennero i due centri di maggior di grande importanza lungo le coste libanesi, ma molti altri centri sorsero
sulle coste nord Africane e nelle colonie
spagnole. I centri di lavorazione della
tintura, infatti, sorgevano tutti vicino al mare, perché il mollusco doveva avere ancora la ghiandola piena di liquido; lo testimonia la presenza, nelle vicinanze di questi centri, di vere e proprie colline formate dagli strati dei gusci dei molluschi. Piccole montagne, poiché ogn murice (nome del mollusco) poteva fornire solo poche piccole gocce della preziosissima sostanza; ne consegue che occorrevano miliardi di molluschi per soddisfare il fabbisogno di quella specille materia prima.

I Murici divennero presto assai rari, tanto da soddisfare solo le richieste di Re e Papi oltre alle pergamene di preziosi codici. Costituiva, però un’attività che impegnava davvero gran parte della popolazione nelle varie fasi della produzione e de lavoro necessario per ottenere quei meravigliosi tessuti rosso-porpora.

Dai racconti di Plinio il Vecchio, a seguito di un viaggio in Giudea e di una visita ad un
laboratorio di tintura con la porpora, possiamo ricostruire le varie fasi della lavorazione.

La raccolta veniva effettuata con il mare tranquillo e si fermava solo durante i periodi di tempesta. Si raccoglievano i muscoli più grossi e si estraevano le ghiandole, poi si trituravano i gusci che si mettevano a macerare in acqua e sale per qualche giorno; dopo di che, si sciacquavano e si mettevano in acqua calda, mantenuta ad una temperatura costante grazie all’emissione di vapore attraverso un tubo collegato ad un forno vicino; e si lasciavano “cuocere” lentamente per una decina di giorno, permettendo il distacco del tessuto muscolare dalle ghiandole. Quello che si otteneva era un maleodorante liquido verdastro, pieno di residui organici decomposti da togliere.
A questo punto si facevano le prime prove di tintura su campioni di stoffa che venivano immersi nel bagno di tintura così ottenuto ed esposti al sole e si continuava così fino a quando non si otteneva la gradazione di colore desiderata.
Plinio dice anche che si ottenevano più sfumature mescolando diversi tipi di Murice e
aggiunge che, il colore della famosa Porpora di Tiro, ottenuto con una duplice tintura,
fosse stato il risultato della correzione di una tintura mal riuscita.

I vari processi di lavorazione rendevano proibitivo il costo di queste stoffe o anche la semplice decorazione di stoffe eppure, la
richiesta era enorme: indossare la Porpora, era segno esteriore di distinzione e dignità regale, sociale e sacerdotale.
Un fascino ed un coinvolgimento emotivo che catturò e incantò il mondo intero. Catturò ed incantò i Romani che ne fecero un decalogo.
Interamente purpurea era la toga del generale vincitore che sfilava il giorno del suo trionfo; ai Senatori era concessa una larga balza ai bordi delle tuniche e più stretta, invece, quella concessa agli appartenenti all’Ordo Equester… ornamenti anche per consoli, sacerdoti, ecc… Ma furono le donne a lasciarsi stregare da questo colore, al punto da spingere i legislatori ad emettere decreti che ne regolassero l’uso.
Rosso purpureo… un fascino che cattura ancora oggi.

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